Martedì scorso, nella fastosa scenografia di Palazzo Corsini, sede dell’Accademia dei Lincei, Maria Romana De Gasperi ha inaugurato una nuova fase dell’Istituto che porta il nome di suo padre.
A rendere importante l’evento culturale sarebbe bastata la breve e commossa testimonianza che lei ha fatto di suo padre (che vi invitiamo ad ascoltare cliccando su: http://www.radioradicale.it/scheda/407549). De Gasperi sconfitto, che non ha ottenuto la fiducia in Parlamento pur avendo ottenuto come coalizione il 49,5% di voti, che ha visto fallire il suo disegno più importante, quello della Comunità Europea di Difesa, si confida con la sua prima figlia e dice: “Quando noi pensiamo di essere indispensabili, il Signore ci toglie tutto per ricordarci che siamo soltanto utili”.
Riascoltate, per favore, queste parole che spiegano molto bene la situazione storica in cui ci troviamo.
Allora De Gasperi pensava all’Europa, non come ad una soluzione di equilibrio produttivo per il nostro continente, ma per una ragione molto più importante: impedire la morte dell’Europa. l’Italia era una Paese vinto, la Germania era un Paese occupato, Inghilterra e Francia, Paesi nominalmente vincitori, erano esausti, il mondo stava per spaccarsi in due con il pericolo di una guerra atomica. L’Europa si era suicidata in un immane disastro. E la sua stessa anima, la sua stessa civiltà, sembrava essersi perduta. È la scena finale del grande affresco di Thomas Mann, il Doctor Faust, in cui l’autore vede l’Europa disperata in quella figura dell’affresco della Cappella Sistina che cade nell’abisso“coprendosi un occhio con la mano e fissando l’orrore con l’altro”.
Non lo sapevamo ma l’8 agosto del 1945 con la bomba atomica era finita l’epoca moderna, incominciata con la scoperta dell’America, ed era cominciata un’altra epoca storica. De Gasperi capisce che l’Europa indifesa può riemergere se ritrova la sua unità, che è anche la sua civiltà, attrezzando una difesa comune, del tutto insufficiente, ma necessaria per dimostrare che il continente abolisce la guerra civile continua e si appresta a vivere come una comunità.
Questa rievocazione coincide, oggi, con un momento europeo che gli assomiglia molto. Non usciamo da una guerra civile, per fortuna, ma la struttura economica che abbiamo messo in piedi per sostituire una unità politica inesistente è in crisi. Ed abbiamo di fronte a noi due strade: una porta all’abisso del fascismo, dei nazionalismi, dei separatismi, un abisso che porta al suicidio della nostra civiltà come se fossero dimenticati i totalitarismi del secolo più buio dell’Europa; l’altra strada porta a riprendere il disegno di De Gasperi perché l’Europa non è un’opzione, ma una necessità.
Questo messaggio degasperiano è nell’aria e commuove: è nelle parole di Giorgio Napolitano, è nel discorso di Alfano, è nell’analisi spregiudicata e convertita all’Europa di Massimo D’Alema, è nelle parole sagge e pacate di Prodi. Stiamo parlando di quattro personaggi importanti della politica italiana, che stanno per lasciare un’eredità importante ad una giovane generazione. Ma il messaggio politico forte è nelle parole di Prodi, che sarà una grande risorsa per il futuro del paese, il quale a ragione rimprovera che sia stata messa in un cassetto la riforma prevista con l’accordo di Lisbona da lui preparata, che bisogna riprendere subito e con grande decisione.
Il giorno successivo, il 3 Aprile, che è il giorno anniversario della nascita di De Gasperi, un giovane professore universitario, Paolo Acanfora, presenta nella sede del Parlamento un suo libro “Miti e ideologia nella politica estera DC. Nazione, Europa e Comunità atlantica (1943-1954)”. Il giovane autore ha ricostruito minuziosamente la storia di come nacque l’idea europea ed il progetto degasperiano nella Democrazia Cristiana di allora. Il libro è sconvolgente perché tutti ci siamo abituati a considerare la proposta di un’Europa unita come una cosa normalissima, acquisita ed accertata. Non ci rendiamo conto della situazione in cui si trovava l’Italia: un Paese che veniva considerato Paese vinto e colpevole di aver scatenato la guerra, il cui capo, De Gasperi, era sottoposto ad una sorta di processo internazionale, essendo considerato l’erede di Mussolini. Non ci dimentichiamo che l’Italia fu sottoposta ad un ingiusto trattato di pace e che De Gasperi dovette lottare a lungo perché la pagina si chiudesse con l’accettazione di quel trattato di pace, con la sola speranza di chiudere per sempre la partita. Ci siamo dimenticati che non potevamo non tener conto dell’America, da cui dipendevamo per il rifornimento quotidiano dei prodotti alimentari, aiutati in questo dal generoso sindaco di New York, l’italiano Fiorello La Guardia. Inoltre l’America fu essenziale per la nostra economia con gli aiuti del piano Marshall e quindi sarebbe stato naturale pensare più ad un nostro avvicinamento a questa potenza che con noi era meno severa degli altri vincitori. Ci dimentichiamo che la battaglia più dura nel nostro Parlamento fu quella della nostra adesione al Patto Atlantico, a cui non eravamo stati invitati, del quale non eravamo stati gli iniziatori né i promotori. Fu nostra la decisione difficile di entrarci a forza per chiudere una pagina storica disastrosa ed infelice.
L’opposizione di Nenni e di Togliatti fu minacciosa. Nella stessa DC si pensava ad un’Italia che svolgesse un compito diverso per affrontare la crisi mondiale: Dossetti pensava ad una formula di missione italiana al di sopra dei blocchi, come quella che riuscì a realizzare La Pira come sindaco di Firenze. In queste condizioni come era possibile pensare che l’Italia potesse essere il punto di partenza di una vocazione europea, che oggi diamo come cosa semplice, facile e scontata? Acanfora ci spiega: “Fu un’interpretazione nuova dell’idea di Gioberti, legata al concetto di missione e di vocazione italiana”. Ed è in questa occasione che Alcide De Gasperi definisce la Democrazia Cristiana non come partito popolare, non come partito dei cattolici, ma come “partito nazionale”. In questo modo egli dà al concetto di partito nazionale un significato tutto diverso. (quando ancora era viva la memoria del Partito Nazionale Fascista). Per De Gasperi era ”partito nazionale” perché interpretava la missione di tutta la nazione, di riportare la pace in Europa come compito nazionale. Ne parlano con sorpresa Gerardo Bianco, Umberto Ranieri ed Alessandro Duce e, fra questi, anche io.
La verità di queste riscoperte è che, a dettare questa prospettiva, a mostrare questo orizzonte, sia stato proprio il Paese che si trovava nelle condizioni peggiori, ma che, proprio per questo, ha la visione più precisa dell’abisso in cui possiamo cadere. È l’Italia con la sua vocazione giobertiana, con il senso della sua missione che appartiene alla storia, ma che ha anche radici in qualche cosa al di fuori dalla storia, è l’Italia che deve intraprendere, a nome di tutti i popoli europei, quella via della unità che De Gasperi, capo di un Paese vinto e senza speranza, seppe indicare, ai popoli europei, per ritrovare la via della pace.
Bartolo Ciccardini