La nuova casa del vescovo di Reggio-Bova non è tutta rose e Fiori...ni. "Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia".Da Paola (Dal 1994 al 2006 è superiore generale dell'Ordine dei Minimi per due mandati) a Locri(il 20 marzo 2008, è nominato vescovo di Locri-Gerace) sino a Reggio di Calabria (il 13 luglio 2013 viene promosso arcivescovo di Reggio Calabria-Bova). Il percorso virtuoso di un globe-trotter venuto da lontano. La stampa nazionale ha ignorato l’avvenimento; passi. Su quelle colonne, va solo la Calabria della cronaca nera e dei veleni. Ma la stampa locale, ha toppato clamorosamente. Solo qualche colonnino in prima pagina con fotografia; ma un quotidiano, in prima pagina, non ha messo, nemmeno un rigo. Nel Duomo, dovevano figurare in prima fila: il procuratore generale Salvatore Di Landro con il procuratore capo della Repubblica Federico Cafiero De Raho, il prefetto, Vittorio Piscitelli, il questore di Reggio Calabria, Guido Nicolò Longo, i comandanti provinciali dei carabinieri (Lorenzo Falferi), della Guardia di Finanza (Alessandro Barbera), del Corpo Forestale dello Stato ( Giorgio Maria Borrelli), della Polizia provinciale e comunale (Domenico Crupi), della capitaneria di porto Direttore Marittimo della Calabria e della Lucania, Gaetano Martinez, dei Vigili del Fuoco, ingegnere Emanuele Franculli, il governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, il presidente del Consiglio Regionale, Francesco Talarico, della Provincia Giuseppe Raffa, la terna commissariale al Comune di Reggio Calabria ecc.
DIOCESI DI REGGIO-BOVA, QUEL BUON PASTORE MANDATO DA FRANCESCO E SAN FRANCESCO, PER RACCOGLIERE LA PECORELLA SMARRITADomenico Salvatore
Un avvenimento grande, grandissimo; di spessore nazionale. Da sguinzagliare inviati speciali della carta stampata, a tutto spiano, a prescindere dalla crisi economica. Invece, niente di tutto questo. C’erano le telecamere della RAI ed altre emittenti private. Nonostante, arrivi il nuovo vescovo di Reggio Calabria-Bova. Una città di frontiera, centrale della ‘ndrangheta, che a parole, si dice ( e si scrive) di voler combattere. Un modo come un altro per dire…’lasciamola finire da sola’; per inerzia. Tanto Giovanni Falcone, disse che…” La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere, non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni. “. Giuseppe Fiorini Morosini, nella lotta contro la criminalità organizzata, è ancor più determinato, granitico, tetragono e monolitico di Giancarlo Bregantini e Vittorio Luigi Mondello, messi insieme. Facendo autocritica, ammette:”Di questi mali siamo responsabili anche noi cattolici Da anni lo stiamo ammettendo e siamo corsi ai ripari”. Chi ha seguìto le sue famose pastorali, i suoi celeberrimi sermoni, le sue clamorose prese di posizione contro la ‘ndrangheta, lo può riscontrare facilmente. Comunque, ‘beati monoculi in terra caecorum’. Tempo perso invece, con chi, voglia continuare a pescare nel torbido; e seminare zizzania; a gettare l’acqua sporca col bambino dentro; a vedere la pagliuzza nell’occhio del fratello, ignorando la sua trave? C’è speranza anche per i peccatori? Il rischio mortale per costoro è, di vedersi spalancare le cateratte della geenna infernale, dove c’è pianto e stridore di denti. Non siamo sorpresi che la stampa locale, abbia dedicato poco spazio all’avvenimento. Qualche quotidiano, addirittura, nemmeno una finestrella in prima pagina. Un altro flopp!
Figurarsi, l’informazione nazionale, meglio nota come la ‘comunicazione ufficiale’. Nemmeno un rigo. Peccato, che non andasse in onda un fatto di cronaca nera, uno scandalo, un omicidio. Lì, sarebbero accorse sfilze e sequele di inviati speciali esperti. Ogni giornale, ha la sua linea editoriale, per carità. Lo staff, disegna il menabò, che ritenga opportuno. Si dice sempre così, no? La nostra opinione è, che anche stavolta, abbiano toppato; ma, non abbiamo la verità in tasca; non siamo, la bocca della verità. Sono più bravi a lanciare proclami ed a pontificare. Non è xenofobìa. Piuttosto, una brutta parola, che risparmiamo all’intelligenza dei nostri lettori sovrani. Va in onda anche, lo scaricabarili di responsabilità, tra le varie istituzioni, che è sotto gli occhi della platea. Senza scomodare quei quattro capponi di Renzo, né i vasi di coccio in mezzo a quelli di ferro. Ci è sembrato di cogliere nelle parole del nuovo vescovo di Reggio-Bova, la sostanza di alcuni discorsi dei Papi defunti. Paolo VI, disse:” Con il Concilio, la Chiesa stessa, ha inteso e intende compiere uno sforzo assiduo "di conoscere, di avvicinare, di comprendere, di penetrare, di servire, di evangelizzare la società circostante, e di coglierla, quasi di rincorrerla, nel suo rapido e continuo mutamento". E Giovanni XXIII, (Discorso di apertura del concilio, 11 ottobre 1962) :” Nell'esercizio quotidiano dei nostro ministero pastorale, ci feriscono talora l'orecchio suggestioni di persone, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura.
Nei tempi moderni esse non vedono che prevaricazione e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando; e si comportano come se nulla abbiano imparato dalla storia, che pur è maestra di vita, e come se al tempo dei Concili ecumenici precedenti tutto procedesse in pienezza di trionfo dell'idea e della vita cristiana, e della giusta libertà religiosa. A noi sembra di dover dissentire da codesti profeti di sciagura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine dei mondo.”. Per uno strano gioco del destino, a furia di essere spintonati dalla calca, siamo finiti nella navata laterale e da qui a quella centrale ed infine sull’altra esterna; siamo stati sballottolati, nostro malgrado, verso una posizione apparentemente scomoda, ma altamente ‘redditizia’. Appollaiati in una posizione strategica, con l’aiuto di Dio e di Maria Santissima della Consolazione Gran Madre di Dio e Madre nostra, abbiamo potuto superare le asperità, scattare e raccogliere le immagini, che vi proponiamo qui sotto. Costretti come siamo a lavorare in full-immersion. Ma il nostro giornale, non può permettersi o mantenersi il lusso di assumere un fotografo full-time. A beneficio della moltitudine dei fedeli mariani e marianisti osannanti e deliranti, giunti da ogni dove, per assistere al passaggio di consegne fra Vittorio Luigi Mondello, oramai vescovo emerito ed il nuovo pastore, Sua Eccellenza, Giuseppe Fiorini Morosini, vescovo di Reggio e Bova.
Una coppia di Vescovi a Reggio Calabria ed un paio di Papi a Roma. Il conto torna. Una gestione collegiale, evidentemente, benedetta dal Padreterno. Non sta a noi comuni mortali, sindacare l’operato di Nostro Signore Gesù Cristo. Fermo restando che la conduzione della Chiesa, al centro ed in periferia, spetti al titolare. Di regola, ogni vescovo che s’insedia, un vicario, un sacerdote ecc. riscuote l’applauso riverente, peraltro dovuto, ma qui il nuovo operaio della vigna del Signore, ha strappato, una sfilza di battimano, sino a spellarsi le dire e cori da stadio; sia pure sommessi, stante il luogo sacro; autentiche bordate, che non potevano passare inosservate. Il buon samaritano, proviene dalla sterminata Locride, terra di ‘ndrangheta; territorio, devastato dalla bande della Piovra, dove l’omertà che cuce le bocche a doppia mandata, per paura, mista a terrore, di vendette, ritorsioni, rappresaglie, ripicche, punizioni e castighi, regna sovrana. Le popolazioni sane ed oneste, che amano la legalità, l’ordine e la sicurezza, la libertà e la democrazia, che sono la stragrande maggioranza della gente, lottano e combattono contro la “Gramigna”, ma, spesso sono abbandonate se non lasciate in balìa delle onde e di se stesse, smarriscono l’orientamento e debordano dalla via maestra. Una folla, che agogna la pace, la serenità, la libertà, la democrazia ed altri ideali e valori morali richiamati dal presule, durante la sua omelia, applaudita sino a scorticarsi le mani.
Mai visto niente di simile. Uragani di applausi. Un vescovo “rock” di peso e di statura. Giusto quindi che abbia il consenso ed il sostegno del popolo cristiano, dei laici e perfino dei non credenti o dormienti. Di più di Elvis Presley, il Re del Rock and Roll rhythm and blues; ma anche Country, Country and Western, Gospel, Spirituals, Traditional, melodico e Pop; un idolo, capace di suscitare sempre e comunque, di fronte a qualsiasi tipo di platea, consensi totali e manifestazioni di adorazione, in quanto possessore di una forma di talento unico e inimitabile, dalle caratteristiche taumaturgiche e soprannaturali. Una vera e propria forma di culto della personalità. Con la differenza che qui è tutto reale, tutto vivo, tutto vero, mentre lì, era ed in parte, ancora lo è, soprattutto una gigantesca e accorta manipolazione di natura mediatica; attuata allo scopo di tutelare gli altrettanto giganteschi e soverchianti interessi di natura prettamente economica dell'enorme apparato commerciale, che era nato e che si era successivamente sviluppato attorno alla sua immagine. Depositario, fonte Wikipedia, di una qualche forma di talento divino nato per essere perennemente osannato e idolatrato da folle totalmente rapite e soggiogate dal suo carisma, sin dagli albori della sua carriera, e per tutto il corso dello svolgimento della stessa. Senza salire sul palco di Las Vegas, New York e Menphis, negli Anni Sessanta e Settanta. Nessun paragone inopportuno, in questa sede, per carità. Tuttavia in comune, questa due persone, comunque speciali, hanno il carisma e la popolarità. Morosini Fiorini, era stato chiamato a sostituire nientemeno, che il vescovo di Locri-Gerace, Giancarlo Maria Bregantini( 12 febbraio 1994 - 8 novembre 2007) trasferito ed elevato ad arcivescovo di Campobasso. Ed ora Morosini, è chiamato a sostituire il carismatico Vittorio Luigi Mondello (28 luglio 1990 - 13 luglio 2013); vescovo di Caltagirone dal 30 luglio 1983, per volontà di papa Paolo VI, oggi vescovo emerito, ipso iure. Il 28 luglio 1990 papa Giovanni Paolo II, chiama Mondello a succedere ad Aurelio Sorrentino, dimessosi per raggiunti limiti d'età, nella carica di arcivescovo metropolita di Reggio Calabria-Bova; Sorrentino, che aveva “portato” il papa Karol Wojtyla, in Calabria. Due tappe i m p o r t a n t i s s i m e della vita spirituale e sacerdotale, di Morosini Fiorini se non vescovile. Un segno del destino; anzi del Signore. Non si vuole e non si può sminuire in questa sede l’operato dei due vescovi Bregantini e Mondello. Un ministero sacerdotale (vescovile), sicuramente, faticoso, scomodo, fastidioso, malagevole ed antipatico. Agnelli in mezzo ai lupi. Daniele nella fossa dei leoni. La pazienza di Giobbe. Erano in primo piano nella lotta contro la mafia, ma spesso venivano strumentalizzati. Accusati dai Ponzio Pilato e dai don Abbondio del turn over di essere tiepidi, fragili, se non deboli e moderati. Un peso della solitudine, schiacciante. Solo due presuli di questo peso e statura, avrebbero potuto sopportare questi supplizi di Sisife e Tantalo ed uscirne a testa alta.
Sebbene la ‘ndrangheta, non sia un’entità astratta, ma un’associazione per delinquere di stampo mafioso; permeata, ben infiltrata nei gangli vitali del tessuto connettivo della società; in basso ed in alto loco; un modus vivendi, operandi e gestendi, che abbraccia tutti i ceti. Il filo rosso, che collega tutta la fauna della res nullius, è la corruzione, l’ingordigia, l’avidità, l’illegalità, l’inquinamento. Le idee, nel bene e nel male, camminano sulle gambe degli uomini. Memento homo, quia pulvis es et in polverem reverteris! Dunque è sull’uomo, i suoi bisogni, le sue necessità, i suoi vizi, che bisogna ragionare e studiare per cercare la soluzione del problema. I paragoni di per sé, sono sempre antipatici, perché provocano consensi e dissensi, ma sono anche scontati ed inevitabili ad ogni dimensione. Sono per dirla tutta, il sale del dialogo e della dialettica, per stimolare il confronto delle idee. Ma, non c’è il benché minimo dubbio a nostro parere, di essere di fronte a tre grandi personaggi della Religione, del sapere, della cultura, che hanno scritto pagine indelebili di storia della Chiesa. E quante altre, memorabili pagine, ne scriveranno! Morosini, ha usato spesso le parole “secolarizzazione e scristianizzazione”. La sua risposta è legata e collegata al capitolo dedicato alla “ FEDE E CENTRALITA’ DI GESU’”, fonte www.diocesilocri.it:” Parliamo spesso di fede, ma forse ci sfugge il suo significato più vero. Legittimo allora interrogarsi su che cosa è la fede e sulla individuazione dei suoi contenuti.
L’urgenza della domanda deriva anche dal fatto che possono esserci errori nel modo come viene intesa la fede dalla massa dei credenti. L’indizione dell’anno della fede da parte di Benedetto XVI è stata motiva non solo dalla secolarizzazione e scristianizzazione in atto in Europa, ma anche dalla necessità di chiarire l’oggetto di questa virtù, intorno alla quale c’è troppa confusione. Il papa, infatti, ha fatto cenno al grave problema della separazione tra fede e vita, che è una chiara indicazione di un modo sbagliato di pensare alla fede. Se la fede non incide nella vita, è naturale che essa è male interpretata e risolta solo nel compimento di alcuni gesti rituali o in puri sentimenti. Cerchiamo allora di rispondere alla domanda sul significato della fede, ricorrendo alla Bibbia. La Lettera agli Ebrei risponde così:La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono Eb 11, 1). Anche S. Paolo mette in relazione la fede con la speranza, quando parla della vocazione del battezzato (Ef 4, 1-4). La relazione tra fede e speranza rimanda a sua volta ad una ulteriore domanda: che cosa è la speranza e quali sono le cose che possiamo legittimamente sperare? S. Paolo scrive che nella speranza siamo stati salvati(Rm 8, 24). Prima però fa un discorso sull’attesa di riscatto di tutta la creazione, che attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio e di essere liberata dalla caducità nella quale il peccato dell’uomo l’ha fatta cadere(Rm8, 19-23).
Garante di questo riscatto è Gesù, ed in lui la speranza non è il dubbio o il timore su ciòche dovrà accadere, ma l’attesa di un compimento certo (Rm 8, 25): essere eredi e coeredi di Cristo(Rm 8, 17). Non hanno avuto vita facile i vescovi del dopoguerra… Pacifico Maria Luigi Perantoni † (31 gennaio 1952 - 21 agosto 1962 nominato arcivescovo di Lanciano e Ortona); Michele Alberto Arduino † (21 ottobre 1962 - 18 giugno 1972 deceduto); Francesco Tortora † (21 ottobre 1972 - 22 settembre 1988 dimesso); Antonio Ciliberti (7 dicembre 1988 - 6 maggio 1993 nominato arcivescovo di Matera-Irsina); Giancarlo Maria Bregantini, C.S.S. (12 febbraio 1994 - 8 novembre 2007 nominato arcivescovo di Campobasso-Boiano); Giuseppe Fiorini Morosini, O.M. (20 marzo 2008 - 13 luglio 2013 nominato arcivescovo di Reggio Calabria-Bova). Chi sarà il prossimo Cireneo, pronto a caricarsi la Croce addosso. Scatta ora il totovescovo.Voci di corridoio, dicono, che ci siano ‘anche’ preti del Reggino in pole position. Intanto per diritto canonico è stato eletto Amministratore Diocesano mons. Cornelio Femia, vicario generale durante l’episcopato di monsignor Fiorini Morosini. Ecco l’omelia del presule:”Carissimi fratelli,
1. Inizio il mio ministero a Reggio Cal. ricordando le parole di Paolo: approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio (At 28, 12)
Tale ricordo mi ha spinto a confrontarmi idealmente con lui, con il suo amore a Cristo, con la sua personalità di apostolo, con il suo coraggio ed entusiasmo. La liturgia ci ha offerto un brano della lettera agli Efesini, che è un richiamo forte per la nostra vocazione cristiana e per la fedeltà alla missione affidata a chierici e a laici nella comunità ecclesiale.
Voglio offrirvi altri richiami dell’Apostolo, basilari per la missione che ho appena iniziata.
* Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato (Gal 2, 20)
E’ il motto del mio episcopato. Afferma che la fede è risposta all’amore di Dio rivelato nel Figlio, che ha dato la sua vita per noi. Se Gesù non è al centro, vita cristiana e ministero pastorale si svuotano e noi meriteremmo il rimprovero di Paolo per aver ceduto al mondo ed esserci piegati come canne al soffio di ogni vento di dottrine nuove. Rischio terribile per i credenti in questa fase di scristianizzazione e di secolarizzazione.
* Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo e follia per chi non crede (1 Cor 1, 23)
Ricorda il coraggio di Paolo nello sfidare la società del tempo, che considerava follia il messaggio cristiano. Il Dio ignoto che annunciò all’areopago e per tutta la vita era il crocifisso risorto. Affrontò perciò persecuzioni e derisione, senza mai ricredersi. Il Crocifisso risorto era la verità necessaria per la salvezza del mondo, anche se alla sapienza del mondo appariva una favola. Accettò il confronto con la sapienza del tempo senza cedere mai nella dottrina che annunciava, e nello stesso tempo si sentì a pieno titolo cittadino della società che lo perseguitava: civis romanus sum.
* So a chi ho dato fiducia (2Tm 1,12)
Alla fine della vita Paolo tira le somme del suo percorso di apostolo (ho combattuto la buona battaglia, ho finito il mio percorso, ho mantenuto la fede: 2Tm 4, 8) ed esce in questo grido felice: So a chi ho dato fiducia: felice di essere stato l’apostolo di Gesù, nonostante le difficoltà attraversate.
2. Miei cari, queste parole di Paolo ci portano alle origini della missione della Chiesa. Oggi più che mai un vescovo che inizia la sua missione in una Diocesi deve guardare a quelle origini, quando la Chiesa era ancora piccolo seme e la sua forza era l’annuncio di Cristo e la testimonianza del Vangelo; quando chi chiedeva i sacramenti non li riceveva per tradizione o fattore culturale, ma per scelta di vita; quando la Chiesa non cercava protezioni, ma accettava di essere minoranza perseguitata e si opponeva alla cultura dominante con la forza del Vangelo, pagando con il martirio la fedeltà ad esso. Quella Chiesa cambiò il mondo e lo cristianizzò. Poi, forse si adagiò su questa conquista ed ha perso la forza dell’annuncio e della testimonianza.
3. Carissimi, io vi ringrazio per l’accoglienza ricevuta. Nonostante la secolarizzazione e la scristianizzazione, l’arrivo di un nuovo vescovo costituisce ancora per una città un fatto importante.
Ringrazio gli eccellentissimi Vescovi qui presenti, in modo particolare Mons. Mondello, al quale va tutta la mia stima, la mia fiducia, la mia venerazione per il servizio reso a questa Chiesa per tanti anni. Solo il Signore potrà ricompensarlo.
Ringrazio per la loro presenza il Sig. Prefetto, i Commissari e il sindaco di Bova, il presidente della Regione e della Provincia, tutte le altre autorità politiche, civili e militari, i rappresentanti delle varie istituzioni, i sindaci della Diocesi, il Sindaco di Locri, che mi ha voluto accompagnare. Siete qui per rendere omaggio all’istituzione Chiesa, grati per quanto essa dà alla società in termini di formazione, di cultura, di servizi di carità.
Ringrazio tutti voi sacerdoti, diaconi, religiosi e popolo di Dio per l’affetto che mi state dimostrando. Questo è l’incontro di partenza, che prelude a quelli futuri più personalizzati, durante i quali cercherò di ascoltare e di parlare, cuore a cuore, per capirci ed entrare in sintonia.
Ma la solennità esteriore di questo momento può essere un indicatore sicuro dell’adesione ai contenuti della missione della Chiesa e al Vangelo che annunzia? Posso essere tranquillo della genuinità della fede della folla che acclama e segue osannante i riti che celebriamo?
No, perché se mi fermo sul grave problema da affrontare, cioè la sfida della secolarizzazione, approdo della fine della cristianità, allora mi rendo conto che compito principale oggi per un vescovo è quello di aiutare i suoi fedeli a guardare la propria fede e la propria vita e a scoprire la drammatica dicotomia che esiste in tanti tra il rito e la vita, tra la devozione e le scelte morali, spesso influenzate dal pensiero secolare. Sento forti le parole di Ezechiele e di Gesù sul pastore che non può star chiuso nell’ovile a bearsi del belato delle pecore che stanno con lui; deve andare incontro a tutte quelle che stanno fuori, per scelta o per ignoranza: le radunerò da tutte le regioni.
Il nemico radicale della fede oggi, la secolarizzazione, si annida anche nel cuore dei credenti. Basta guardarsi attorno per rendersi conto della grave dicotomia. I mali che affliggono la nostra società non derivano dalle scelte antievangeliche che i cristiani fanno? Gli stessi scandali dati dagli uomini di Chiesa non ci allertano su di una mentalità secolare che alligna ormai anche nella Chiesa? Tutto ciò spinge oggi la Chiesa ad un cambiamento radicale nel modo di svolgere la missione, di rapportarsi alle istituzioni, nel modo come i credenti possono e debbono essere cristiani coerenti e cittadini fedeli alle istituzioni. E ciò non è solo questione di forma, ma di sostanza.
4. Né possiamo illuderci della tenuta della religiosità popolare che con i suoi riti, le sue feste, la sacramentalità diffusa, finisce spesso per essere solo un velo che copre tale sfida, distraendo da essa la nostra attenzione, tanto da illuderci che la secolarizzazione da noi non sia ancora giunta. E’ invece vero che nel cuore della pietà popolare spesso è assente la scelta vera di Gesù Cristo come ideale e modello di vita. Dinanzi alla gravità della sfida secolare Benedetto XVI ha indetto l’anno della fede.
Ci troviamo, pertanto, in questa difficile situazione: da una parte gestire una religiosità di massa che aveva significato nel contesto di quella cristianità, apice dell’azione evangelizzatrice della Chiesa in Europa, ormai cessata; e dall’altra riannunciare Gesù e il suo Vangelo, sentendo tutta la difficoltà nel proclamare tale annunzio, che in molti punti contrasta radicalmente con alcune decisioni della società secolare.
Dobbiamo allora essere consapevoli, miei cari sacerdoti e laici impegnati, che dobbiamo riportare Gesù al centro del nostro annunzio e della nostra pastorale, con tutte le difficoltà che ciò comporta. Trovare in lui la forza per andare contro corrente e per sentirsi soddisfatti anche quando saremo incompresi e derisi. Sentire tutta la gravità dell’Apostolo quando dice: noi predichiamo Cristo crocifisso.
Sulla fedeltà a Gesù non possiamo cedere di un passo, costi quel che costi, disposti ad andare controcorrente, a scegliere di essere minoranza, ad essere ritenuti fuori del mondo e arretrati nel fluire veloce della storia. E tale fedeltà a Gesù non riguarda solo i valori condivisi dalla società secolarizzata, ma anche quelli oramai respinti da essa: la difesa della vita, dalla nascita alla sua fine naturale, la difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, l’annuncio del perdono e della riconciliazione, l’educazione all’amore e alla sessualità, la difesa della legge naturale, ed altri.
Sappiamo che su questi temi il confronto con la società secolare sarà duro e difficile, ma non possiamo cedere, per rimanere fedeli a Gesù, consapevoli altresì che alcuni di questi temi possono essere condivisi sulla base di un confronto razionale anche da chi non crede. Le difficoltà aumentano per il fatto che dovremo lavorare anche su tanti sedicenti cristiani, che ormai hanno sposato il pensiero secolare e lo vogliono far convivere con le devozioni e i riti sacri della tradizione, arrivando ad aberranti commistioni, come quella tra sacro e criminalità organizzata.
Miei cari, insisterò moltissimo su questo punto nella mia azione pastorale. E’ necessario che i cristiani si scuotano e comprendano che non si può più andare avanti in questa grave commistione.
5. Nella società secolarizzata la Chiesa è accolta e osannata per il suo servizio di carità. Ma a noi ciò non basta. Essa, come ha ricordato papa Francesco, non è una onlus di beneficenza, ma una comunità di fede che annuncia Gesù morto e risorto. E allora vogliamo essere accettati come comunità di fede che pretende di essere ascoltata e rispettata per i valori che propone nel segno della sua fedeltà a Cristo. Ciò non vuol dire che non continueremo a dare impulso alla Caritas diocesana, presente sul territorio in tanti modi e forme, generate in parte dal santo sacerdote don Italo Calabrò. Ma l’azione di carità della Chiesa parte dalla fede in Gesù. In don Italo l’amore a Cristo ha partorito la sua azione sociale, così come quella di S. Francesco di Paola. Proprio perché amiamo Gesù, rivolgo a tutti i sofferenti e malati la nostra solidarietà e l’umile richiesta della loro preghiera. Il nostro impegno per loro continuerà. Oggi il disagio di tante famiglie per la perdita del lavoro e per la crisi drammatica che viviamo interpella tutti.
Nessuna istituzione può giocare sulla pelle della gente, ma assieme bisogna impegnarsi per attenuare il disagio, procurando soprattutto il lavoro in Regione, per frenare l’emigrazione delle menti giovanili più acute.
I nostri interventi sui grandi temi del territorio, non sono ingerenza nella vita dello Stato, ma libera espressione delle forze morali, culturali e sociali presenti sul territorio che si confrontano nel rispetto del gioco democratico.
Noi dobbiamo scommettere sulla fedeltà a Gesù per rafforzare la vitalità della Chiesa, per farla crescere in credibilità: Un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza, ci ha ricordato Paolo. Consapevoli che non si può di un colpo voltare pagina nella prassi ecclesiale dell’amministrazione dei sacramenti, invito parroci, catechisti e responsabili di movimenti a purificare e a migliorare la prima evangelizzazione, in modo da mettere le persone nella condizione di incontrare veramente Gesù e assumere il suo Vangelo come norma di vita.
In tutta l’attività pastorale, conserviamo l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Si trovi, perciò, unità nell’evangelizzazione, sotto la guida dell’ufficio catechistico, attorno al progetto italiano di un annuncio di fede in stile catecumenale. Di esso l’accompagnamento della famiglia è il punto di forza. Bisognerà procedere allora di pari passo nella pastorale del primo annuncio e della famiglia, dando ai laici la giusta autonomia in forza della loro specifica competenza sul tema.
E poi, non possiamo chiudere gli occhi su tante cresime ricevute solo per tradizione, ma senza la scelta di Gesù; né possiamo ignorare il problema della scelta dei padrini, per la quale la dimensione di fede è ormai ininfluente. Ne segue di avere davanti all’altare individui che garantiscono su di una fede, che essi ormai hanno perduto o che non guida le scelte della loro vita. Sono queste incongruenze che creano un modo di praticare la fede che genera commistioni gravi e aberranti.
6. La Chiesa in una società secolarizzata è una forza morale che promuove valori, affidati non all’imposizione dell’autorità politica, ma alla condivisione della ragione e alla testimonianza dei credenti. Reagiremo, perciò, a chi vorrebbe confinare la religione ad un fatto personale ed intimistico, negando alla Chiesa il diritto di entrare nel vivo del dibattito politico sui valori che devono regolare l’organizzazione della società. Combatteremo, pertanto, il tentativo di chi, in modo occulto o meno occulto, grida allo scandalo se la Chiesa interviene su questo dibattito, screditandola dinanzi all’opinione pubblica, evidenziando le fragilità e i peccati degli uomini di Chiesa.
Invito pertanto tutti voi laici cattolici ad intervenire con la forza della testimonianza e della vostra competenza e cultura per orientare in senso cristiano le soluzioni dei problemi sociali e politici che affliggono il nostro territorio.
Lo dovete fare perché cittadini di questo Stato, e perché competenti nei vari settori del sapere; perché credenti e quindi inviati da Cristo. Paolo ci ha parlato delle diverse vocazioni per compiere il ministero. So che la nostra Chiesa di Reggio-Bova ha un buon laicato, organizzato e vivo. In nome di Cristo vi dico allora: non abbiate paura di sfidare l’opinione pubblica dominante e siate fermento evangelico dovunque operate: nelle scuole, nelle università, negli ospedali, nelle aule dei tribunali, nello sport, nei laboratori scientifici, nelle amministrazioni, nella politica. Se i primi cristiani approdati a Roma non avessero avuto il coraggio di andare contro corrente, sfidando anche la morte, non avrebbero affermato i grandi valori morali del primato della coscienza sul potere dello stato, della verità sulla politica, della libertà sul capriccio, dell’oggettività della verità e del bene sulla relatività dei valori. Paolo ci ha esortati a vivere la verità nella carità.
Non possiamo permettere un cristianesimo di massa che non riesce ad incidere nei nodi della vita associata e organizzata; deve finire il nostro senso di colpa dinanzi ai mali della nostra società. Laici cattolici riscoprite il gusto della politica e portate in essa i valori cristiani. Rinnovatela nel segno evangelico del servizio e dell’impegno per il bene comune. Ricordate che l’unità politica dei cattolici non è un dogma di fede ma non è neanche un demone che bisogna esorcizzare. La nostra società aspetta questo servizio di speranza.
La nostra Chiesa diocesana ha diverse eccellenti iniziative in campo culturale, sulle quali bisognerà scommettere: Seminario teologico, Istituto superiore di scienze religiose, Biblioteca diocesana di prossima apertura ed altro. Devono diventare laboratori di cultura ove il confronto con il pensiero laico e secolare deve essere serrato, a beneficio di tutta la collettività.
7. I problemi della secolarizzazione in Calabria sono esasperati dalla depressione economica e sociale, e soprattutto dalla piaga della ‘ndrangheta. Di questi mali siamo in parte responsabili anche noi cattolici. Da anni lo stiamo riconoscendo e siamo corsi ai ripari con interventi mirati da parte del magistero dei Vescovi, con iniziative coraggiose da parte di preti e di laici, che molte volte hanno pagato di persona, ma soprattutto con il lavoro silenzioso svolto nelle parrocchie, del quale nessuno si accorge e sul quale i media non parlano perché disinteressati a capire la vera azione della Chiesa, ma a divulgare solo le notizie che fanno scalpore. Diciamo basta, pertanto, agli improvvisati teologi, canonisti e pastoralisti che presumono di stabilire i connotati del prete-antimafia per esaltare così i propri idoli dimenticando il lavoro incisivo e paziente di centinaia di sacerdoti sulla breccia.
Nonostante questo sforzo pluridecennale, si attacca ancora la Chiesa rimproverandola di non fare abbastanza contro la ‘ndrangheta, quasi che responsabile della sua mancata sconfitta sia solo la Chiesa, che chiude occhi, che perdona, che scende a patti per i vantaggi economici che ne derivano. C’è poi una grave leggerezza nell’affrontare i problemi, per cui il semplice sospetto su di un uomo di Chiesa provoca la condanna generalizzata di tutta la Chiesa. Cosa che non si verifica per nessun’altra istituzione. Noi diciamo basta a questi attacchi sistematici, studiati al tavolino nel contesto della lotta intrapresa dalla società secolarizzata contro la Chiesa, e invitiamo tutte le istituzioni a fare lo stesso esame di coscienza che ha fatto la Chiesa e a riconoscere le proprie responsabilità.
La Chiesa continuerà a dare il suo contributo in questa lotta, anzitutto allontanando ogni minimo dubbio di connivenza diretta o indiretta dei suoi rappresentanti con il malaffare; ci impegneremo poi nella formazione delle coscienze perché non ci sia commistione tra fede e malavita. Ma non si pretenda che sia la Chiesa a distribuire le etichette di mafioso, sulla base del comune sentire della gente, né si presuma di dire alla Chiesa ciò che deve fare: se perdonare o condannare, se ammettere ai sacramenti o rifiutarli. Basta su queste indebite ingerenze. Ogni istituzione svolga il suo dovere nel proprio ambito e rispetti quello altrui, e si lasci a noi Vescovi il compito di dirigere l’azione pastorale anche su questa materia. Sia chiaro, però, che alla base di essa ci sarà sempre la figura del buon pastore che va in cerca della pecora smarrita, come abbiamo sentito dal Vangelo. Piaccia o no alla cultura giustizialista del nostro tempo, la misericordia coniugata con la giustizia non si può cancellare dal Vangelo.
Nella formazione delle coscienze largo spazio deve essere dato alla legalità, al rispetto cioè delle istituzioni e delle leggi dello Stato, quando esse sono fondate sul diritto naturale e rispettano la vita e la dignità dell’uomo. Lo raccomandiamo agli insegnanti di religione, ai parroci e ai catechisti.
Non possiamo, però, ignorare che esiste anche una legalità da parte dello Stato, che deve mostrare al cittadino il suo volto amorevole. Tale legalità si deve tradurre in quei provvedimenti tesi a creare le condizioni di un vivere associato rispettoso dell’uomo: strade, assistenza sanitaria, luoghi di aggregazione e impianti sportivi per i giovani, edifici scolastici in sicurezza e attrezzati, servizi sociali, attenzione ai cittadini, primato del bene comune, rispetto del creato, case, lavoro, amministrazione celere della giustizia. In questi cinque anni passati a Locri mi sono reso conto che per sconfiggere la malavita organizzata non basta una politica repressiva, anche se necessaria, ma occorre unirla ad una politica di impegno a favore del cittadino. Chiedo umilmente alla politica e agli imprenditori di creare lavoro per i giovani, per frenare l’emorragia di una nuova emigrazione.
Invito tutti, credenti e non credenti, ad una svolta di dignità. Reagiamo con forza alla ’ndrangheta; denunciamola con coraggio, perché la paura è una catena per la nostra libertà, rifiutiamo con decisione i benefici che possiamo trarre dal suo aiuto e dal nostro silenzio. La ‘ndrangheta è un male dal quale o si esce tutti assieme o non si esce mai.
8. Guardiamo con una certa apprensione alla nostra Regione e alla nostra città. Nel contesto generale di questa crisi che affligge tutti, in Regione noi viviamo una crisi più drammatica, per un mancato progresso, in parte addebitabile a noi stessi. Soffriamo per il mancato buon uso delle risorse, per la ramificazione malavitosa negli apparati della pubblica amministrazione e per la cura di interessi privati a danno del bene comune. Certo c’è anche il buono, ed è tanto, e per questo noi ringraziamo le autorità regionali, provinciali, i signori sindaci e quanti con essi collaborano per il lavoro che fanno, alcune volte veramente eroico. Pensando poi alla sede di Bova, penso sia doverosa la rinata attenzione verso la cultura grecanica, che deve essere promossa.
Non possiamo, però, chiudere gli occhi sulla realtà e non rilevare che la speranza in mezzo alla gente è venuta meno. Ho seguito da lontano le vicende di questa nostra città e sono convito di dover iniziare il mio ministero di vescovo proprio dalla speranza, incoraggiando soprattutto i giovani a non demordere. Lo farò in ogni modo, ma aiutatemi.
Miei cari giovani, sono consapevole che neanche noi uomini di Chiesa abbiamo saputo meritare alcune volte la vostra fiducia, a causa delle nostre infedeltà. Ma vi invito a non fare di ogni erba un fascio e a considerare l’innumerevole schiera di uomini di Chiesa che sono rimasti fedeli a Gesù Cristo sino all’eroismo. Riapriamo un dialogo di fiducia e di impegno comune. Abbiamo bisogno della vostra voce critica, dei vostri ideali, della vostra capacità di interpretare il futuro. Se voi perdete la speranza, si offusca l’orizzonte del nostro futuro. Lo dico soprattutto a voi giovani delle nostre associazioni e movimenti che abbraccio di vero cuore e che spero di incontrare ad una ad una.
Nel programmare la mia settimana lavorativa, ho in mente di dedicare all’ascolto di voi giovani un giorno per settimana, se accetterete di dialogare con me.
A tutti i credenti dico di rendere ragione della speranza che possediamo come dono della fede, dando ad essa un volto, quello della testimonianza dei valori cristiani e della fuga da ogni compromesso con il male. Chiedo ancora a voi sacerdoti coerenza per essere credibili nel nostro annuncio; e a voi seminaristi, che unite alla vostra giovane età la consacrazione alla missione nella Chiesa, di offrire il vostro entusiasmo e la vostra sensibilità, coniugandoli con una formazione veramente robusta. Siate fedeli a Gesù e uomini tutti di un pezzo.
Invito umilmente tutte le istituzioni ad uno sforzo comune per dare alla nostra città una speranza, fondata su correttezza di vita e non su facili e scontati moralismi, su contenuti autentici e non su parole ingannatrici. A tutti coloro che si dicono credenti e lavorano nella politica e nella pubblica amministrazione l’invito ad essere trasparenti, rispettosi della legalità e del bene comune, non avrebbero senso altrimenti le folle oceaniche appresso alle immagini sacre portate in processione.
9. A questa società secolarizzata, come vescovo offro l’invito a riportare il timore di Dio al centro della vita. Se ciò avverrà, vi assicuro che questa nostra città rifiorirà. Il Dio che annunciamo è il Dio misericordioso che si apre alla condivisione con l’uomo e perciò alla misericordia e al perdono. Il Dio che non respinge nessuno, il Dio che cerca chi si è smarrito; ma il Dio anche esigente che chiama a conversione. E’ il Dio del quale Gesù ha parlato attraverso l’immagine del buon pastore. Egli è il Dio che dona vita a chi lo incontra. Il Dio che si lascia cercare e trovare, il Dio sempre disposto ad accogliere la nostra preghiera. Perché questo Dio possa esser predicato e percepito dalla nostra città, chiedo quanto chiese Giovanni Paolo II all’inizio di questo millennio: fate delle parrocchie scuole di preghiere e inserite la preghiera nel tessuto vivo dell’azione pastorale. Bisogna pregare di più e meglio. Siate soprattutto voi religiosi e religiose maestri in tal senso.
Sui nostri propositi e sulle nostre speranze, sul mio cammino di vescovo di questa Chiesa chiedo la vostra preghiera e la benedizione di Dio, l’intercessione della Madonna della Consolazione, dei santi protettori, di S. Francesco di Paola, Lumen Calabriae. Con le sue parole benedico di cuore tutta la Diocesi: Ci accompagni sempre la grazia di Gesù Cristo benedetto che è il più grande e il più prezioso di tutti i doni. Amen. “. I fedeli, in meno di cinque minuti sciamano e brulicano il sagrato, poi spariscono dietro l’angolo. Il passaggio di consegne c’è stato, l’atto di fede pure. Ora, ognuno deve fare la sua parte e non delegare. La fede, credenza nell’esistenza di Dio, non è un fatto privato, ma basato su una comunità operante ed operativa; la fede, è credere in concetti, dogmi o assunti in base alla convinzione personale al di là dell'esistenza o meno di prove; un modo di relazionarsi con Dio. Sebbene, esista un sufficiente numero di prove storiche, sia dell’esistenza di Dio, sia del suo intervento nelle questioni umane.
Serve, la presa di coscienza e di responsabilità, ma soprattutto, occorre più umiltà, chiese aperte, accoglienza (il vero tallone d’achille) e preghiere accompagnate dal canto. Il pastore è buono, forte e scaltro. Egli ha costruito la sua casa sulla roccia… Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande. Giuseppe Fiorini Morosini ha dimostrato di avere spiccate “doti contadine”…Ora et labora. “Il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; gli uccelli vennero e la mangiarono. Un'altra cadde in luoghi rocciosi dove non aveva molta terra; e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo; ma, levatosi il sole, fu bruciata; e, non avendo radice, inaridì. Un'altra, cadde tra le spine; e le spine crebbero e la soffocarono. Un'altra cadde nella buona terra e portò frutto, dando il cento, il sessanta, il trenta per uno”. Intanto ha fatto visita ai carcerati: ''Sono qui per dirvi tutto l'impegno della Chiesa per voi: perché il carcere sia sempre più umano e sia ambiente di riscatto e redenzione; che la Chiesa non è allineata con una certa cultura giustizialista tipo quella tradotta nel detto che spesso leggiamo sui giornali: chiudete e gettate la chiave. Crediamo nell'uomo e nella sua capacità di riscatto''. Così il neo-arcivescovo di Reggio Calabria, Giuseppe Fiorini Morosini, si è rivolto ai detenuti cui ha fatto visita. Avendo sempre presenti e bene in mente, le sette opere di misericordia corporale: Dar da mangiare agli affamati. Dar da bere agli assetati. Vestire gli ignudi. Alloggiare i pellegrini. Visitare gli infermi. Visitare i carcerati. Seppellire i morti. E le sette opere di misericordia spirituale: Consigliare i dubbiosi. Insegnare agli ignoranti. Ammonire i peccatori. Consolare gli afflitti. Perdonare le offese. Sopportare pazientemente le persone moleste. Pregare Dio per i vivi e per i morti. Domenico Salvatore