Molto spesso nei nostri dibattiti ci sentiamo rivolgere l'obiezione che non si possa avere un dialogo politico con chi non accetta la pregiudiziale dei valori non negoziabili (unità della famiglia, matrimonio generativo, rispetto della vita dal concepimento alla morte).
Nell'Occidente moderno, con la fine del periodo costantiniano, periodo in cui la morale cristiana aveva un'influenza diretta sulla politica (periodo che era già finito cinque secoli fa per la Chiesa orientale), i cristiani si trovano nella situazione dei cristiani primitivi, che vivevano in una società che aveva valori fondanti diversi ed avversi.
La stessa specie umana con il rapido e sconvolgente progresso dell'ultimo secolo, ha cambiato alcuni fondamenti di vita che hanno una portata antropologica (l'egotismo per presunti diritti personali che sopraffanno i diritti altrui, in particolare se più deboli; separazione dell'amore generativo dall'intrattenimento sessuale socializzatore divenuto totalizzante).
In questo nuovo contesto il cristianesimo è straniero, come lo era nel mondo antico quando tutta la vita sociale, economica, interpersonale e sessuale era dominata dalla presenza della schiavitù.
C'erano allora due modi per sottrarsi alla egemonia totalizzante. Il primo: allontanarsi da quel tipo di società. Il monaco, che significa il "solitario",e l'anacoreta, che significa anche "straniero" fuggivano nel deserto. Soprattutto nei paesi dove il deserto era poco fuori della città. Ma anche in questi casi, quando venne meno l'autorità imperiale a dirimere i conflitti nelle città, venivano richiamati "gli uomini di Dio", che in via straordinaria amministravano la giustizia della città nei periodi di crisi. San Simeone, lo Stilita (e molti altri meno noti di lui) si separarono dalla vita sociale, vivendo sopra una colonna, che li separava dalla comunità, ma che permetteva loro di dare consigli ed insegnamenti. Per poter compiere opera di mediazione fra le frazioni e di giustizia nei conflitti, gli stiliti, detti anche "uomini santi"si consideravano e si autodefinivano "stranieri".
(Questo costume è durato a lungo nel nostro meridione ortodosso, dove i monaci basiliani uscivano dall'eremo, chiamato anche laura o laurito o lauria, per risolvere problemi della comunità, ma solo per brevi periodi.)
Esisteva solo la soluzione del diventare stranieri?
San Paolo sembra suggerircene un'altra. San Paolo aveva scritto chiaramente che, con Gesù Cristo, non ci sono più greci e barbari, uomini e donne, schiavi e liberi. Affermazione rivoluzionaria inaccettabile per la società di allora e non negoziabile per lui. A lui si presenta un fatto concreto: il proprietario di uno schiavo fuggito, rifugiato presso Paolo, lo richiede , forte del suo diritto. San Paolo rimanda lo schiavo dal padrone accompagnandolo con una lettera: "È fuggito come schiavo, amerei trattenerlo con me, ma lo rimando a te, non come schiavo, ma come fratello". San Paolo non si rifugia nel deserto, sembra accettare la condizione storica, ma la supera con l'ammonimento fraterno, con la testimonianza e con la tenerezza (direbbe Papa Francesco).Forse c'insegna qualche cosa.
Ma c'è anche un altro esempio che mi sta a cuore. È il racconto di Manzoni sulla famosa disputa del duello.
La Chiesa ha convissuto, dal periodo della conversione dei barbari ai giorni d'oggi, con un costume sociale che richiedeva l'omicidio come dovere di onore per lavare un'offesa:il duello. Fra' Cristoforo va a trovare Don Rodrigo per cercare di convincerlo a non tormentare la povera Lucia. È in atto quello che nelle lettere di San Paolo viene chiamata ammonizione fraterna. Don Rodrigo accetta il confronto e con astuzia trascina Don Cristoforo su un terreno scabroso a proposito delle regole del duello.
Gli domanda se era lecito bastonare il portatore di una richiesta di duello. Don Rodrigo è astuto perché sa che Padre Cristoforo si è fatto frate per riparare ad un suo duello giovanile e lo vuole complice nel duello per averlo complice nella consegna di Lucia sotto la sua protezione.
La risposta di Fra Cristoforo è chiara e semplice: "Per me non dovrebbero esserci né bastonati, né bastonatori". Ed alla seconda richiesta, quella di affidare alla sua protezione la povera Lucia, si indigna ed avvisa Don Rodrigo dell'ira che sta per scendere su di lui. Ma subito diventa attivo e corre a nascondere Lucia.
Anche qui il cristiano è costretto a subire una regola che non accetta, ma corre ai ripari con una azione caritativa ed una testimonianza. Aspettando. Aspettando cosa? La peste, che tutto trasforma.
Ed il giorno della peste Fra'Cristoforo, che sta per morire anche lui nel Lazzaretto, si preoccuperà soprattutto che Renzo perdoni il suo persecutore, che Lucia rinunci al suo voto di " fuga dal mondo", perché il mondo rinasca dopo la peste, sotto l'acquazzone che è la prova della tenerezza di Dio che travolge il male.
Anche in questo episodio c'è un insegnamento fondato sulla testimonianza che non condanna, ma insegna ed agisce con misericordia. In fondo in ambedue le testimonianze si riflette quella che Don Mario Campisi chiama la "catechesi della samaritana".
Gesù che sa che quella donna ha divorziato sette volte, e sa che a lei, secondo la legge non avrebbe neppure dovuto rivolgere la parola. Però annuncia proprio a lei, per prima, il segreto della sua missione. Ed alla donna che doveva, secondo la legge, essere lapidata annuncia: "Nessuno ti ha condannato ed Io non ti condanno!". Il grumo della contraddizione fra valori non negoziabili e carità misericordiosa si risolve nella dolcezza della conversione e nella gioia del perdono.
Mi sembra di poter dire che alzare un muro, una sorta di "eremo" moderna sulla non negoziabilità non appartenga alla catechesi cristiana; mi sembra che sia miglior cosa tenere aperta una porta nella quale siano iscritti a chiare lettere i valori della vita, che restano inalienabili, ma dalla quale si possa scorgere la pazienza, la tenerezza, e la gioia della misericordia.
A questa contraddizione, (che non sarò certo io a risolvere), si aggiunge un altro particolare non indifferente: l'accettazione, da parte dei cattolici della democrazia La democrazia è anche tolleranza per le idee ed i comportamenti altrui. In una democrazia la legge persegue i reati e sono reati quelli stabiliti dalla maggioranza. Se la maggioranza decide per il divorzio, lo stato non può perseguire i divorziati. Che fine fanno a questo punto i valori non negoziabili?
Ma non dobbiamo scandalizzarci. Si potrebbe rispondere che fanno la fine della scomunica dei comunisti, che di fatto funzionò come ammonimento fraterno, ma non ebbe mai applicazioni canoniche reali e si concluse nella tenerezza paterna nei confronti dei figliuoli prodighi, anche di quelli non ritornati.
Non penso che questo mio pensiero sia cosi saggio da essere preso come oro colato, spero solo che possa ispirare una meditazione sull'arduo problema. Di una cosa sono certissimo. Non possiamo condannarci ad una stabile alleanza con la destra conservatrice, altrettanto non negoziabile, con l'alibi dei valori non negoziabili.
Dobbiamo constatare il fallimento della politica che ha portato i cattolici a rinunciare ad una loro presenza attiva e a delegare la difesa dei valori non negoziabili ad una destra non raccomandabile.
Ne sono derivate due conseguenze infelici: la prima conseguenza è stata la perdita dello spirito civico nel popolo cristiano che si è rifugiato nell'astensionismo e nell'apatia. La seconda è stata la perdita del valore popolare che c'era nell'adesione dei cattolici alla democrazia. Quello che si scorge nell'orizzonte politico è il grande vuoto provocato dall'assenza del cattolicesimo politico, così importante nella storia d'Italia.
Ma un altro vuoto si è provocato che non riguarda soltanto l'Italia. La compromissione della Curia romana con un regime impresentabile e largamente screditato nell'opinione mondiale ha fatto perdere al cattolicesimo italiano la tradizionale e ricchissima presenza degli italiani alla guida della Chiesa. Gli italiani erano straordinariamente preparati e vocati a questo compito particolare di reggere il papato. Il loro privilegio era ritenuto provvidenziale e meritato. Ma non è un caso che abbiamo avuto tre papi stranieri. Del resto l'Italia era guelfa perché seguiva il Papa, ma nel tempo stesso era guelfa perché solo la universalità e la straordinarietà degli italiani li rendeva adatti e necessari a reggere il Papato.
L'Italia non è più l'Italia guelfa se non c'è il papa che sia italiano. Il sogno "avignonese" di un'Italia senza Papa e di un Papa senza Italia sembra avverarsi. Dove sei tu, Caterina Benincasa, patrona d'Italia?
Bartolo Ciccardini
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Luigi PalamaraGiornalista, Direttore Editoriale e Fondatore di MNews.ITCell.: +39 338 10 30 287MNews.IT | Stadio Online, le notizie sportive | Giochi Gratis | Calabria 24Ore .IT | NewsOn24.IT