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Non c'è lingua senza l'etnia dei popoli che raccontano le antropologie delle civiltà - di Pierfranco Bruni

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Non c'è lingua senza l'etnia dei popoli che raccontano

le antropologie delle civiltà

 

 

di Pierfranco Bruni

 

 

La cultura dei popoli resta strettamente legata ai valori dell'identità che diventano modelli di conoscenza nella deposizione della storia. Quei popoli che non rinunciano ad affermare la nobiltà dell'identità sanno però che il rapporto con la contemporaneità non può essere straniante. La diversità e la integrazione nella storia delle civiltà non sono una scelta ma una matura consapevolezza.

      Ciò non deve indurre, comunque, a dimenticare. Le civiltà e i popoli che dimenticano vengono attratti dal sonno dall'oblio. Dall'oblio si esce quando ci si rende conto che le civiltà e i popoli non possono estraniarsi dal destino della memoria. Viviamo, come bene ha sottolineato Marc Augé, nella "etnologia della modernità" (cfr. Disneyland e altri non luoghi, Bollati Boringhieri, 1999).

      L'immaginazione e la memoria non solo si incontrano ma, il più delle volte, "si confondono" per ritrovarsi all'interno di una dimensione che è quella del tempo. I popoli e le civiltà reggono all'urto del presente grazie proprio al tempo. Con il tempo dialogano, con il tempo definiscono i percorsi della memoria che recita la sua parte grazie ai ricordi che occupano la scena del quotidiano. Ma questi ricordi che formano la memoria distribuendosi come se fossero tasselli di un mosaico hanno bisogno di una griglia simbolica e di un processo culturale che è rappresentato dal mito.

      Il mito dunque si rappresenta grazie a due codici: gli archetipi e la tradizione. In fondo il mito "fornisce modelli per la condotta umana e conferisce, con ciò stesso, significato e valore all'esistenza (Mircea Elide, Mito e realtà, Borla 1966). I popoli e le civiltà non superano il quotidiano del presente attraverso la storia o attraverso la fiamma della modernità ma grazie alla memoria che digita costantemente i codici appena annunciati. L'anima dei popoli e delle civiltà non può accettare gli sradicamenti ma ha bisogno di radicarsi sempre nella durata e nell'istante che misurano il tempo e lo spazio.

      L'antropologia e l'archeologia (i popoli e le civiltà, gli uomini e i loro luoghi) entrano nel tempo perché occupano lo spazio della memoria scavando nella coscienza della comunicazione che è il linguaggio della reciprocità. I popoli in sé sono un'isola ma l'uomo per farsi popolo ha bisogno dell'altro. Ha bisogno di relazionarsi. I popoli non sono una solitudine ma un insieme.

      Le civiltà muoiono quando viene meno la relazione del linguaggio. Si autodistruggono. La perdita del linguaggio (che non è solo la lingua in sé) è la perdita, tra l'altro, della manifestazione dei simboli. Le civiltà e i popoli durano e resistono alla modernità se hanno simboli da esprimere. La tradizione raccoglie i simboli i quali trovano una loro espressione in alcune categorie culturali  come l'archeologia, l'antropologia, l'etnologia.

Le etnie sono l'esperienza di una memoria che sottolinea identità, appartenenza, radicamento. Sono pertanto difesa di un patrimonio che non è soltanto culturale ma anche etico, religioso, esistenziale.

      I popoli e le civiltà che precipitano nell'oblio sono quelli che non riescono più a rappresentarsi e che hanno smarrito le voci e gli echi di un passato che si recita proprio grazie a manifestazioni e a segni ricavati da una narrazione della lontananza. Si è consapevoli che "il significato di un segno è il segno in cui esso deve venir tradotto" (R. Jakobson, "Gli aspetti linguistici della traduzione" in Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, 1966).

      L'etnia è il recupero della narrazione della lontananza nel vissuto del presente. Abbiamo un dovere di straordinaria importanza che è quello del ricordare. Soltanto ricordando, la tradizione prende corpo e anima in un luogo della modernità che quotidianamente tenta di uccidere il passato. Un passato che non deve condizionare ma deve offrire testimonianze soprattutto in una temperie in cui "il presente è spossessato sia dei suoi antecedenti, sia delle sue prospettive" (Marc Augé, Perché viviamo?, Biblioteca Moltemi, 2004).

      La cultura dei popoli è una ricerca che si svolge nel tempo ma si è convinti che "la vita può essere capita soltanto a ritroso; ma deve essere vissuta soltanto in avanti" (Soren Kierkegaard). Per rafforzare una riflessione più recente: "L'identità è… un'esigenza irrinunciabile; ma di 'sola' identità si muore" (Francesco Remoti, Contro l'identità, Laterza, 2001).

      D'altronde, per intenderci meglio in una meditazione, le etnie hanno valore solo se si allontanano dal sentimento della nostalgia e non si isolano nella contestualizzazione del moderno perché c'è il rischio che la storia possa uccidere il tempo in quanto, come sottolineato da  Marc Augé, "…il tempo non sfugge alla storia; la storia l'ha ucciso" (cfr. Rovine e macerie, Bollati Boringhieri, 2004).

      Se la storia ha ucciso il tempo non ci resta che uscire dall'oblio e cercare di ritrovare la strada delle radici che è pur sempre distante ma è altresì necessaria per abbandonare ogni illusione. La tradizione è un cammino che è fatto di attesa e di pazienza ma ci spinge a non ritornare nel passato e a non lacerare il futuro che ancora non c'è. Ci permette di osservare restando nel tempo. Ci permette di comprendere con la consapevolezza che la storia da sola non è espressione di verità e i popoli e le civiltà possono documentarsi con la storia ma dentro la storia possono, appunto, morire ammesso che non siano già, dentro la storia, la testimonianza della fine.

      E' la tradizione che veicola e traduce i sentimenti. Perché la tradizione vive nella memoria e trasmette i frammenti di una cultura che si lascia vivere nell'estetica del silenzio che forma i simboli, gli archetipi, i miti. Le etnie, in fondo, oltre ogni apparenza decodificano tre messaggi che restano fondamentali: l'identità, la memoria, la sacralità. Tre indicazioni che trovano la loro dimensione spirituale in due forme culturali abbastanza consistenti che diventano realtà di conoscenza: il senso dell'appartenenza e l'orizzonte, ancora una volta, della tradizione. Entrambe si caratterizzano nella difesa della lingua.

            L'etnia è un fattore che chiama in causa modelli antropologici ma, come già si diceva, si dichiara in un processo che è profondamente esistenziale. Le etnie, riportando sulla scena una memoria che ricostruisce, non fanno altro che invitare il presente a non dimenticare, ovvero a non disperdere il ricordo. La comunanza di valori, di lingua, tradizione, profili culturali e territoriali determinano la valenza etnica. Ciò che resta dentro caratterizza una appartenenza. L'etnia, in fondo, è l'espressione di un appartenere. Una comunità alla cui base si focalizzano la lingua, la tradizione e quella memoria che è ricostruzione ma è soprattutto superamento dell'oblio.




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Luigi Palamara
Giornalista, Direttore Editoriale e Fondatore di MNews.IT
Cell.: +39 338 10 30 287
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