
Da Bova mi separano circa due ore di macchina, e questo più che scoraggiarmi, non fa che aumentarne il desio di poter assaggiare dal vivo con gli occhi, ciò che da qualche tempo pregusto nelle mie ricerche autodidattiche. Arrivo alle falde del paese che è ora di pranzo e combattuto tra la smania di visitare e la gagliarda resistenza dell’appetenza, vinto da quest’ultima, sosto presso Kalòs Jero (che poi apprenderò essere il ristorante di famiglia dell’occasione che seguirà), a rifocillarmi. E qui, l’incontro con la sapienza del cibo mi permette una congiuntura tanto inattesa e non preordinata quanto favorevole, che darà effettiva consistenza all’intera giornata.
Incontro il dott. Santo Casile, primo cittadino di Bova.E lui, cordiale e pacioso, tra una chiacchiera ed uno scambio di opinioni, mi offre – non tradendo il grande spirito d’accoglienza calabrese - il suo tempo per condurmi a visitare al meglio questo borgo meraviglioso. Quindi, arriviamo a Piazza Roma, l’agorà cittadino e mi riceve nel suo ufficio nell’antico palazzo nobiliare che fu dei Marzano, poi destinato a municipio. «Veda, proprio in questo palazzo – mi dice compiaciuto– soggiornò Edward Lear (lo scrittore e paesaggista inglese che nel 1847 compì un viaggio nei paesi della provincia reggina, poi condensati nel famoso “Diario di un viaggio a piedi”, ndr) e noi per ricordarlo abbiamo affisso una pergamena a darne testimonianza».
Capisco a fondo la soddisfazione del sindaco avendo letto Lear, dal quale colgo il desiderio di caricarmi di quante più notizie possibili sulla sua cittadina, e col quale intanto mi complimento per l’ordine e la pulizia che scorgo voltandomi più e più volte nei vari vicoli circostanti. «Io – mi chiarisce – sono sindaco dal 2011 ma è dal 2001 che in vario modo mi occupo di Bova. Qui nel 1995 si potevano contare 1800 abitanti. Ora poco più di 500. Capirà che evitare lo spopolamento è diventato il mio primo impegno».
Vincolo che Casile sta rispettando appieno considerando il ricco palmarès che di Bova mi esibisce con orgoglio alla pari di città più blasonate e fortunate. «Dal 2002 il mio comune è inserito nel prestigioso ranking dei 250 “Borghi più belli d’Italia” e nel 2005 siamo stati premiati come “Città del Bio”. Ma il clou l’abbiamo raggiunto a febbraio di quest’anno, quando ci hanno insignito del riconoscimento unico per la Calabria - conferito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a soli 21 centri italiani - di “Gioiello d’Italia”».
Qui l’emozione un po’ tradisce il sindaco al quale brillano letteralmente gli occhi, mostrandomi la missiva di complimenti ricevuta direttamente dal governatore Giuseppe Scopelliti. «Ma non s’illuda – riprende – le assicuro che non è affatto facile amministrare una realtà come la mia. Pensi, ad esempio, che ho potuto riattivare le fontanelle pubbliche solo dopo 35 anni!» La spending review colpisce anche qui, e c’è da crederci.
Ma Casile non s’è sconfortato ma anzi, col piglio caparbio di chi ama la propria terra, ha addirittura rilanciato. «Sono riuscito ad ottenere un finanziamento – mi dice - per l’avvio di una scuola di mediazione linguistica con a base il greco antico. Perché un’altra priorità che mi sono dato è quella della salvaguardia della lingua e delle tradizioni, affinché il tramando che ci arriva dai nostri avi non si disperda».
Ed a questo proposito mi mostra orgoglioso una “maddamma” ovvero il rifacimento di una figura giunonica femminile, attraverso l’ intreccio sapiente di rami di palma ed ulivo, che vengono portate in processione per le vie bovesi - ogni anno la domenica Delle Palme - e che servono, in un amalgama tra sacro e profano, oltre ad effondere benedizioni cristiane per tutta la famiglia anche ad una sorta di rito propiziatorio per l’agricoltura attraverso l’affrancamento votivo alle dee greche Persephone e Demetra, deputate a tale scopo. Ed ancora, «la nostra lingua è in serio pericolo – mi confida -. A Bova sono rimasti circa 55 anziani che ancora conservano l’idioma grecanico. Ed io devo fare qualcosa per arrestare questa emorragia linguistica».

Ma non ha trascurato i visitatori, Casile. «Ho trovato il modo – gongola – di sistemare diversi alloggi in via di decadenza acquisendoli alla proprietà del Comune per farci posti letto per i turisti». Ne sono previsti circa cinquanta.
Intanto il nostro viaggio all’interno del perimetro urbano di Bova si fa sempre più interessante ed il mio entusiasmo è un crescendo che mi conferma la mia fortunata intuizione di dedicare tempo a Bova ricevendone in cambio cultura millenaria e ricchezza secolare. Visito il bookshop di fianco al Comune, una ex chiesa ora destinata a casa della cultura, con molti volumi su Bova e l’area grecanica, dove «non c’è mese che passi che non presentiamo libri freschi di stampa dei tanti autori che scelgono questa location per offrirli al pubblico – aggiunge Casile». D’altronde a Bova storia e cultura vanno a braccetto e si respirano in ogni vicolo, in ogni anfratto, in ogni méso̱ (via).
In paese ci sono sette chiese, di cui cinque attive e organiche alla religiosità bovese e due dismesse. Pieno meriggio, ma ho comunque il favore di visitarne tre. Intercede il sindaco. La prima, quella dello “Spirito Santo”, nell’attimo stesso in cui varco la soglia, il suono muto del rito bizantino mi accoglie catapultandomi nelle ere paleocristiane. Bellissime le riproduzioni iconografice, i crocefissi ed la “Menorah” un candelabro a sette braccia collocato direttamente sull’altare maggiore in pietra e marmi policromi. Poi quella del santo protettore a cui Bova è affidata, San Leo, monaco basiliano vissuto fra i monti dell’area grecanica, di cui la leggenda narra la trasformazione della pece in pane per i poveri, nella quale spiccano il busto argenteo con le sacre reliquie del Santo che viene portato in processione e la sua imponente effige marmorea, opera (quasi certamente) dello scultore di scuola messinese, Rinaldo Bonanno, collocata presso l’altare maggiore già riconosciuto, esso stesso, dal competente Ministero, monumento di interesse nazionale. Infine la chiesa concattedrale di Santa Maria Isodia (o della Presentazione) edificata intorno al IX secolo e più volte ricostruita in seguito ai disastrosi eventi tellurici che si sono susseguiti nei secoli, dov’è custodita, presso la navata centrale, la magnifica raffigurazione bianco-marmorea della Madonna della Presentazione, opera sempre attribuita al Bonanno.
Il mio tour si conclude con l’immancabile (e peraltro non di semplice dirittura, considerato l’apprezzabile dislivello che da Piazza Roma mi consta circa 200 metri di sgobbo) visita ai ruderi del castello normanno, la cui costruzione mitologica rimanda all’arrivo, dall’antistante mar Jonio, della principessa degli Ausoni che intravedendo la possente roccia sovrastante Bova, decise per la sua edificazione a fortezza. Alla fine, deduco ne è valsa assolutamente la pena, e lo spettacolo che mi si offre è un panorama mozzafiato che giunge con gli occhi a scorgere finanche lo scalo portuale catanese, oltreché la vallata del S.Pasquale e dell’Amendolea con i relativi circondari.
Qui, stanco ma ampiamente appagato, trovo il tempo per raccogliere l’ultima dichiarazione del sindaco che mi rivela speranzoso che«mancano ancora 4 o 5 anni di buona gestione per poter dire di aver ben pensato a Bova. Sia per i residenti che per i visitatori». Ma da ciò che s’è visto, ascoltato ed assaggiato, si può dire d’essere giunti ben oltre la metà dell’opera. Fattasi, quindi, l’ora del vespro, riprendo la via di casa, conservando però viva la consapevolezza che, per solo mio demerito, Bova non mi abbia potuto rivelare interamente i tesori.
Quelle ricchezze che sembrano appese al filo intangibile dello scorrere del tempo e che essa custodisce e perpetua intatte nel suo prezioso scrigno millenario e che troppo spesso, insensatamente, e soprattutto i calabresi ignorano di avere a due passi da casa.
Giuseppe Campisi