L’ASPROMONTE POLMONE D’OSSIGENO HABITAT NATURALE DI TANTISSIME SPECIE ANIMALI E VEGETALI, DA MONTAGNA DEI SEQUESTRI A MONTAGNA SACRA
Caratteristico è lo sviluppo dell'Aspromonte a terrazze sovrapposte; se ne riconoscono quattro livelli, detti piani o campi. La vegetazione è molto ricca e varia. Sul piano basale si riscontra la macchia mediterranea, con diversi consorzi floristici spesso unici, che diversifica molto rispetto all'esposizione. Sulla fascia jonica si trovano spesso formazioni xerofile, formate da ginestre spinose (ulex europerus) e ginestre da fibra (spartium junceum), che convivono con il lentisco, il mirto, il perastro e, nelle aree umide, le tamerici. Un grosso e spontaneo applauso è stato indirizzato all’illustre ospite in segno di solidarietà per il vile attentato, unanimemente condannato
Domenico Salvatore
ROGHUDI (Reggio Calabria) I convegni, meeting, tavole rotonde, assemblee, seminari, simposi, incontri, sono utilissimi per far conoscere agl’Italiani ed al mondo le incomparabili ricchezze dell’Aspromonte. Dando per scontato che noi calabresi, almeno qualcosa sappiamo e conosciamo dell’Aspromonte. Non foss’altro che per le tantissime escursioni sulle montagne intorno alla stazione sciistica invernale di Gambarie d’Aspromonte. Le gite alla Madonna della montagna. Le visite alla Diga sulla Menta. Le partecipazioni alla Santo-Stefano-Gambarie. Il rifornimento di acqua oligominerale, antiurica e diuretica. L’excursus alla ricerca di funghi. La visita alla base americana e così via. Ma anche le gite scolastiche. Eldorado ecologico, paradiso faunistico, tesoro paesaggistico di una bellezza thrilling e mozzafiato:”Purtroppo, sibila il presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte, Giuseppe Bombino la montagna paga a caro prezzo la campagna denigratoria che è stata fatta in questi decenni. La montagna dell’anonima sequestri; la montagna del brigante Musolino; la montagna dei banditi; la montagna della ‘ndrangheta e così via. Palate di fango sul viso gratuite, lanciate dalle colonne della stampa nazionale, cartacea, ma anche radiotelevisiva ed on line.Sebbene la medaglia abbia due facce. Il vantaggio è la conservazione del patrimonio e la preservazione dallo scempio ecologica e naturalistico. Abbiamo delle ricchezze uniche al mondo. Vorrei smentire la brutta favole del lupo scomparso o che non ci sia; se non artatamente confuso con branchi di cani randagi. Le immagini in nostro possesso, smentiscono clamorosamente tutto.
Sulla quercia ed il suo microclima abbiamo pure documenti inoppugnabili” L'Aspromonte è un massiccio montuoso dell'Appennino meridionale, situato in Calabria meridionale, in provincia di Reggio Calabria e limitato a est dal mar Jonio, a ovest dal mar Tirreno, a sud dallo Stretto di Messina e a nord dal fiume Petrace e dalle fiumare di Platì e di Careri.Per numerosi studiosi il confine naturale della zona nord è il Passo della Limina (mt. 822), ai piedi di Monte Limina (mt. 888), punto di confine del Parco nazionale dell'Aspromonte, con la catena delle Serre.La vetta più alta è il Montalto (1.956 mt), di forme dolci, costituito da rocce arcaiche (gneiss e micascisti). Quasi tutti i contrafforti scendono ripidi verso il mare, cosicché la fascia costiera è molto ristretta. Caratteristico è lo sviluppo dell'Aspromonte a terrazze sovrapposte; se ne riconoscono quattro livelli, detti piani o campi. La vegetazione è molto ricca e varia. Sul piano basale si riscontra la macchia mediterranea, con diversi consorzi floristici spesso unici, che diversifica molto rispetto all'esposizione. Sulla fascia jonica si trovano spesso formazioni xerofile, formate da ginestre spinose (ulex europerus) e ginestre da fibra (spartium junceum), che convivono con il lentisco, il mirto, il perastro e, nelle aree umide, le tamerici. Risalendo, fonte Wikipedia, si formano macchie alte o boschi veri e propri, composti prevalentemente da roverelle e lecci. Nelle aree medie sono presenti il castagno e le pinete, le quali progressivamente, con la specie pino laricio, si portano fino alle altezze maggiori, dove gli abeti e poi il faggio formano la copertura dei boschi alti.
Nella zona litoranea predominano agrumi, vite, olivo e l'orticoltura; sotto i 1.000 m esistono boschi di quercia e leccio, sopra i 1.000 m il pino laricio, l'abete dei Nebrodi e il faggio.A 1.311 m sorge la stazione sciistica di Gambarie, con flusso di turisti da Calabria e Sicilia. In un'impervia valle nel cuore dell'Aspromonte, nel comune di San Luca, si trova il Santuario della Madonna di Polsi, luogo di culto che, seppur difficile da raggiungere, diventa nei mesi estivi, specialmente a settembre, meta di turismo religioso.Storia.Nel 1862, a seguito della questione romana, in cui sembrava che il governo italiano volesse tenere un basso profilo, e dell'accordo con Napoleone III, Garibaldi tentò di arrivare a Roma con 3.000 volontari. Ma la risoluta reazione dei francesi costrinse Urbano Rattazzi ad intervenire e a mandare il generale Enrico Cialdini a fermare Garibaldi. A pochi chilometri da Gambarie, il 29 agosto 1862, si volse lo scontro (giornata dell'Aspromonte), nel corso del quale Garibaldi fu ferito e preso prigioniero insieme con i suoi seguaci, alcuni dei quali vennero fucilati. Garibaldi fu condotto all'ospedale militare del Varignano, presso La Spezia, per esservi curato e, dopo la guarigione, gli venne concesso di tornare alla sua residenza di Caprera.Nella località del comune di Sant'Eufemia d'Aspromonte, dove l'eroe fu ferito, si trovano un mausoleo con un suo busto e delle lapidi che lo ricordano ed è indicato l'albero che, secondo la tradizione, è quello dove egli si appoggiò ferito. Al Museo del Vittoriano a Roma sono conservati i cimeli dell'episodio (lo stivale forato e la pallottola).
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Abbiamo dato una sbirciatina al sito dell’Ente Parco…”Il lupo è un formidabile bioindicatore – sostiene Bombino – “e la presenza di questi predatori evidenzia come l’ambiente naturale che caratterizza il nostro Aspromonte sia pressoché intatto, e come gli ecosistemi che lo caratterizzano siano idonei a garantire la persistenza delle popolazioni di lupo appenninico. Le telecamere installate nei punti più remoti del Parco sono a servizio delle attività di studio e ricerca in corso di svolgimento nell’ambito di un più ampio progetto che stiamo conducendo – continua Bombino – e che vede il coinvolgimento attivo di tutta la struttura del Parco coordinata dal Direttore Tommaso Tedesco e dal referente delle attività Dott. Siclari. Più in particolare, fonte
info.posta@parcoaspromonte.gov.it il progetto è finalizzato al monitoraggio delle popolazioni di lupo in Aspromonte, finalizzato alla pianificazione di azioni ed interventi per la riduzione dei fattori diretti ed indiretti di rischio anche ai fini della migliore gestione e conservazione degli ecosistemi volta al mantenimento di popolazioni di lupo stabili e vitali. “Un ulteriore importante obiettivo del progetto” – continua Bombino – “è quello di condividere con la gente d’Aspromonte un modello di convivenza sostenibile a lungo termine che tenga conto delle caratteristiche ecologiche e socio-economico locali.
A tale proposito è opportuno ribadire che le popolazioni di lupo aspromontane “frequentano” aree remote del Parco Nazionale d’Aspromonte dove pressoché nulla è la interazione con l’uomo. Così è, infatti, per il branco “catturato” dalle telecamere”. “La nostra area protetta nasce per contribuire alla conservazione di tutti gli aspetti della biodiversità – conclude Il Presidente Bombino. “Il Parco Nazionale d’Aspromonte non nasce solo per diventare uno scrigno di valori da tutelare, quanto, piuttosto, per contribuire alla conservazione su tutto il territorio nazionale attraverso molteplici ruoli: certamente quello di intervento di protezione di elementi minacciati, ma anche di guida in nuove forme di gestione del territorio, di sperimentazione di soluzioni di sostenibilità, di centro di diffusione di buone pratiche e di elementi della biodiversità che si estendono dall’area protetta nel territorio circostante. Poiché il sistema Aspromonte è concettualmente e operativamente inestricabile dalla rete complessa di attività antropiche che vi si svolgono, è del tutto ovvio che la consapevolezza della conservazione come opportunità per il territorio sia un valore aggiunto nell’ottica della definizione di modelli di guida e di supporto a quello sviluppo economico delle popolazioni locali. Resta ovviamente estraneo all’Aspromonte il concetto di “sviluppo economico” inteso semplicemente come crescita illimitata del reddito di una determinata comunità, misurato sulla proliferazione di infrastrutture, manufatti, popolazione umana, beni immobili.
Ma il futuro sostenibile della civiltà umana passa inevitabilmente per il compromesso tra appropriazione e rispetto delle risorse naturali da parte dell’uomo: non c’è futuro senza la conservazione della funzionalità dei sistemi ecologici, dentro e fuori delle aree protette, e non c’è futuro senza il benessere psico-fisico delle popolazioni. Va rigettato con forza ogni tentativo di contrapposizione tra i due obiettivi, nella consapevolezza che il punto di incontro è, a volte, il miglior compromesso possibile che richiede concessioni su entrambi i fronti”. “La presenza de lupo, quindi, ci incoraggia e ci suggerisce che la nostra montagna vuole darci una nuova opportunità perché si comprenda che ciò che è ecologico è anche economico”.
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Anche altro interessanti comunicazioni…”Siglata convenzione tra l’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte e il Corpo Forestale dello Stato
Attuare, in maniera condivisa, programmi di tutela e conservazione degli equilibri naturali all’interno del territorio dell’Area Protetta è la principale finalità della Convenzione stipulata tra l’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte e il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali – Corpo Forestale dello Stato – Ufficio Territoriale per la Biodiversità (UTB) di Reggio Calabria, firmata dal Presidente, Giuseppe Bombino e dal Dirigente Superiore, dott. Nazario Palmieri, alla presenza del Direttore dell’Ente Parco, Arch. Tommaso Tedesco, del Primo Dirigente Ufficio per la Biodiversità del Corpo Forestale dello Stato, dott. Alessandro Bottacci e della Dirigente dell’UTB di Reggio Calabria, Dr.ssa Marina Forgione. L’accordo prevede la messa a sistema e valorizzazione delle strutture demaniali ricadenti in “zona A” di riserva integrale. L’intesa tra Ente Parco ed il Corpo Forestale dello Stato – UTB, più in particolare, pone al centro di una comune azione le aree di particolare valenza naturalistica di proprietà dello Stato per garantire omogeneità d’interventi ed iniziative per la loro salvaguardia e tutela. La collaborazione, inoltre, prevede la manutenzione della rete dei sentieri e attività di informazione ed educazione naturalistica, forestale ed ambientale, di promozione, divulgazione e di attività culturali e ricreative compatibili con le finalità del Parco, che concorreranno a rafforzarne l’immagine. “Una firma storica che sancisce un’azione sinergica, peraltro nei fatti già esistente, tra i due Enti – ha commentato il Presidente dell’Ente Parco d’Aspromonte Giuseppe Bombino –.
La convenzione, il cui significato assume caratteri innovativi e di elevato valore, contribuirà a rafforzare le attività di conservazione degli importanti e delicati ecosistemi naturalistici e, al contempo, a prefigurare percorsi condivisi per la tutela del territorio aspromontano nel suo complesso. Nel quadro dell’importante intesa tra i due Enti – conclude il Presidente Bombino – nelle prossime settimane saranno poste in essere nuove forme di cooperazione nell’ambito della programmazione strategica predisposta dall’Ente Parco”.
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La Flora
Il territorio naturale del parco dell’Aspromonte presenta una morfologia assai frastagliata che, spostandosi dal litorale tirrenico a quello ionico della Calabria, dà luogo ad una grande varietà di specie vegetali e genera una vasta biodiversità, grazie anche alle condizioni climatiche particolarmente favorevoli. I corsi d’acqua presenti nel parco sono ricchi di oleandri e tamerici e lungo le fiumare è possibile ammirare il pioppo nero, il salicone e l’ontano nero. A bassa quota regnano gli elementi più caratteristici della macchia mediterranea (ginestra, cisto, leccio, mirto, la fillirea, il corbezzolo) e le splendide foreste di leccio, mentre salendo di quota è possibile imbattersi in castagni plurisecolari e numerosi abeti. Molto diffuso in Aspromonte è l’abete bianco, albero longevo, slanciato e maestoso.
Felce bulbiferaNelle zone dell’Aspromonte caratterizzate da abbondanti precipitazioni sono presenti estese foreste di faggio, mentre il pino laricio, presente nel versante tirrenico, dà luogo alla formazione di boschi di pinete spettacolari, creando foreste densissime. Si tratta dell’albero più caratteristico dell’Aspromonte, molto alto e dalla stretta chioma. Esclusivamente sul versante ionico viene coltivato il bergamotto, noto per l’essenza che si ricava dai suoi frutti. Fino agli 800 metri d’altezza si trovano inoltre i roveri, molto ricercati per il loro legno pregiato, e il farnetto (albero della famiglia delle Fagacee), mentre più diffusa è un tipo di quercia più piccola, la roverella. Di grande rarità è invece la felce tropicale che si estende soprattutto in ambienti dalle temperature miti e stabili, dove la folta vegetazione e le acque correnti la proteggono dalla luce.
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La Fauna
Il Parco Nazionale d’Aspromonte gode di una ricchezza faunistica straordinaria grazie alla varietà ambientale del suo territorio. La fitta vegetazione e la presenza di un clima prevalentemente mediterraneo favoriscono la presenza di molte specie animali che trovano nell’Aspromonte il loro habitat ideale. Fra i mammiferi la montagna aspromontana rappresenta un ottimo rifugio per il lupo, la cui presenza oggi è accertata nonostante per due decenni risultasse scomparso in Aspromonte; c’è il gatto selvatico, abile arrampicatore e cacciatore di mammiferi e uccelli; il cinghiale, che predilige la collina e la bassa montagna dove và alla ricerca di ghiande e rizoni; il ghiro, animale notturno molto diffuso nelle foreste europee ed anche il piccolo driomio. Altrettanto presente nei boschi del Parco è lo scoiattolo nero, particolare per la colorazione nera della pelliccia anzichè marrone o rossa. Tra i mammiferi è possibile avvistare anche la volpe, la faina, la martora, il tasso, il riccio e la lepre. Alla fine del 2011, nell’ambito di un progetto di ripopolamento della fauna selvatica dell’Aspromonte, sono stati liberati un gruppo di caprioli, reintroducendo una specie assente da questi territori da circa un secolo.
Ramarro Il parco d’Aspromonte ospita una molteplice varietà di rettili, anche se le temperature estreme li inducono ad affrontare un periodo di latenza. Una specie estremamente variabile è la vipera, che si trova soprattutto nelle zone sabbiose o rocciose; c’è il cervone, serpente lento ed innocuo e il ramarro occidentale, grande lucertola verde piuttosto diffusa. Sulle rive delle fiumare si può osservare la testuggine di Hermann, animale antichissimo dalla colorazione giallastra con macchie nere. Tra gli anfibi più comuni ci sono le rane, i rospi e la salamandra pezzata, mentre piuttosto raro è l’ululone dal ventre giallo, inconfondibile per la particolare colorazione ventrale e per essere privo di coda. Anche gli invertebrati che popolano l’Aspromonte sono vari; oltre a diversi tipi di macrolepidotteri si trovano formiche, scorpioni, ragni e la diffusa mantide religiosa. I numerosi corsi d’acqua dell’Aspromonte ospitano inoltre trote e anguille.
Dove mangiare
I ristoranti e gli agriturismi presenti nel territorio del parco d’Aspromonte propongono menù basati principalmente su materie prime di produzione locale, una cucina legata alla tradizione gastronomica aspromontana rinomata ed affermata, anche in ambito nazionale, per la produzione di ottimi formaggi, di una grande varietà di salumi, e del tipico pane di grano cotto nel forno a legna.Fra i piatti principali della tavola calabrese ci sono i famosi “maccaruni ‘i casa”, maccheroni fatti a mano e conditi con ragù di capra, maiale o manzo, le portate a base di funghi (porcini, pineroli, rositi, tricoloma) raccolti nelle immense faggete Aspromontane, e lo stoccafisso, comunemente chiamato pesce stocco, merluzzo artico norvegese cucinato in molteplici varianti dopo il tradizionale processo di essiccazione.
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Carta d’identità gastronomica del Parco Nazionale dell’Aspromonte
Se la tradizione gastronomica dell’area costiera di Reggio Calabria è particolarmente ricca di piatti a base di pesce (pesce azzurro, tonno, pesce spada) pescato quotidianamente nello Stretto, le aree montuose dell’interno offrono invece i prodotti di un’economia tipicamente pastorale e contadina. Nell’area grecanica dell’Aspromonte in alcuni villaggi si parla ancora un dialetto simile al greco antico e qui è possibile trovare, ma non in commercio, un rarissimo formaggio pecorino realizzato con uno stampo di legno particolare, la musulupa, che lascia sulla forma un’impronta circolare raffigurante figure umane, pupazzi. Tradizionali nella cucina locale sono i maccaruni ‘e casa, maccheroni fatti a mano arrotolando un pezzetto di pasta attorno a un giunco oppure a un ferro da calza. La loro origine è magnogreca, sono conditi di solito con ragù di maiale e manzo o di capra. I maccaruni e la pasta secca in genere, importata dagli Arabi nel X secolo, sono insaporiti spesso con salsa di pomodoro fresco, sugo di pesce o frutti di mare, oppure vengono proposti in timballo, farciti con formaggi e salami, legumi o verdure oppure, tradizionalmente alla vigilia di Natale, con acciughe salate e mollica. Tipici di quest’area della Calabria sono poi capocolli, soppressate, ‘nduja’ e salsicce arricchite sempre con peperoncino e finocchietto. I dolci della provincia reggina sono un’anticipazione della ricca, sontuosa, tradizione dolciaria siciliana. Particolarmente interessanti i torroni, ripieni di morbida pasta di mandorla oppure di mandorle a pezzetti e ricoperti di ostia, di zucchero glassato o di cioccolato, bianco o nero. Ma non si può parlare di questa zona della Calabria senza citare la produzione di bergamotto. Le notizie circa la provenienza del bergamotto e l’avvio della coltivazione in questa zona della Calabria sono le più diverse.
Originario delle Canarie e portato in Spagna, nella città di Berga, dallo stesso Colombo, oppure arrivato in Italia da Pergamo in Tuchia, più verosimilmente il bergamotto è una mutazione spontanea da altre specie agrumarie attecchita nel XVII secolo nei dintorni di Reggio Calabria. Il bergamotto trovò nella fascia costiera, lunga un centinaio di chilometri alla base delle pendici dell’Aspromonte, tra Villa San Giovanni e Gioiosa Ionica, il terreno ideale per la sua produzione. La sua fama è legata all’invenzione nel 1704 della prima acqua di colonia a base di essenza di bergamotto, opera di un profumiere piemontese emigrato in Germania, a Colonia. In seguito allo sviluppo della industria profumiera e alla grande richiesta di essenza le coltivazioni si estesero: nel 1830, nella zona di Melito Porto Salvo, i grandi proprietari terrieri dell’epoca realizzarono i primi impianti industriali di trasformazione. La maggioranza del prodotto attualmente è esportato sotto forma di olio essenziale all’estero, in particolare in Francia, per essere utilizzato dalle case cosmetiche e farmaceutiche. Straordinaria la raccolta di funghi nelle foreste di faggi dell’Aspromonte: porcini, pineroli, rositi, tricoloma sono in vendita in bancarelle improvvisate sulle strade dell’immediato entroterra reggino, in particolare a Gambarie.
Pane di granoQui, come in tutta la Calabria e nel Sud in genere, è frequente trovare forni a legna che producono pani di grandi dimensioni, di uno o anche due chili, dalla forma rotonda oppure ovale con tagli trasversali sulla crosta. Spesso la lievitazione è fatta con il lievito “madre”, rigenerato ogni giorno. La farina di frumento bianca è sovente mischiata a scura segale, detta in dialetto grano iermano o iurmano. Grazie alla lievitazione naturale e alla cottura nel forno a legna, il risultato è un pane dal profumo intenso, friabile e non gommoso, con una leggera nota acidula al palato, che rimane fragrante anche per diversi giorni. In passato era raro trovare pane di farina bianca: in Aspromonte si cuocevano pani di granoturco, di castagne e soprattutto di segale. I cartelli con la scritta “pane di grano” visibili ancora oggi in prossimità dei forni sulle strade dei paesi dell’Aspromonte, segnalano appunto la produzione di pani di frumento.
Ortaggi e legumi – Pappaluni Verdolini, marroncini, tendenti al giallo ocra e picchiettati da macchioline rossicce, oppure grandissimi e candidi: sono i pappaluni, cioè i fagioli aspromontani, coltivati nelle fasce medio-alte del massiccio all’interno del parco. Qui microclima, terreni e acque sono ideali per la produzione di legumi, non a caso il loro posto nella tradizione gastronomica locale è di primaria importanza. Si seminano a fine aprile e si raccolgono in ottobre. Esistono due tipi di pappaluni: quello Bianco è una variante del Bianco di Spagna ma di dimensioni più grandi e con la buccia esterna più morbida (a volte arriva a misurare anche 3,7 cm di lunghezza). Si presta benissimo alla preparazione di contorni o di minestre, sia asciutte che in brodo, in abbinamento ad altre verdure. Il Colorato, dai colori cangianti e con una dimensione nettamente inferiore rispetto al Bianco, gustoso e tenero, è ottimo nelle zuppe. Insieme ai broccoli, alle patate a dadini, a pezzetti di cotenna e di carne di maiale, con un poco di peperoncino fresco e un cucchiaio di olio extravergine d’oliva, è l’ingrediente fondamentale della “pasta e fagioli” tipica aspromontana.
Patata d’AspromonteArrostite al forno o alla brace, come accompagnamento alla carne di capretto oppure in zuppa con le cipolle, le patate sono da sempre presenti nella cucina calabra e, in particolare, in quella aspromontana, come del resto in tutte le aree montane, anche al Nord. Le condizioni pedoclimatiche che favoriscono la coltivazione dei fagioli sono infatti ideali anche per le patate. Le varietà coltivate nell’area interna del parco sono la Bellina, rotonda e a pasta bianca, ottima lessa, e la Spunta, dalla forma allungata e dai due diversi tipi di pasta (gialla o bianca) ideale per le fritture o cotta al forno. I pastori aspromontani erano soliti cuocere questa varietà di patata con la buccia sotto la brace. Le patate, una volta cotte, venivano condite con olio, sale e peperoncino piccante. La patata Rosa, dal corpo leggermente allungato e più piccola della Spunta, con la pasta di colore bianco tendente al rosa pallido, si usa nella preparazione di impasti dolci o salati, come gnocchi o crespelle (preparate con un impasto di farina e patate lesse, dopo la lievitazione si friggono in abbondante olio di oliva e si condiscono con zucchero o miele). Con le patate e le cipolle si cucina la licurdia, una zuppa servita nelle fondine su fette di pane casereccio tostate, condita con olio extravergine di oliva e pecorino grattugiato.
Bergamotto
È un agrume singolare perché mai impiantato o duplicato altrove: agronomi e agricoltori hanno tentato, infatti, di riprodurre il bergamotto (Citrus bergàmia) in Sicilia, in Spagna, in Costa d’Avorio, in California e persino nelle Isole Comore, ma inutilmente. Simile a un’arancia, ma di colore dal verde al giallo, secondo la maturazione, ha buccia sottile e liscia e un peso che va dagli 80 ai 200 grammi. Si coltivano tre varietà: Femminello, a rami esili e frutti lisci, Castagnaro, più vigoroso, con frutti meno sferici, un po’ rugosi, e Fantastico (circa il 75% della produzione riguarda questa varietà). Il frutto contiene dai 10 ai 15 spicchi. Il suo fiore, la zàgara (dall’arabo zahara, cioè fiore), è formato da cinque petali bianchi odorosissimi. Il bergamotto comincia a fiorire alla fine di marzo, nelle località soleggiate prossime al mare e per tutto il mese di aprile nelle zone più interne, e viene raccolto da ottobre a dicembre. Di sapore acidulo e dal profumo intenso, il bergamotto è coltivato nella zona di Roccella Jonica e Gioiosa Jonica e nei dintorni di Brancaleone, Bruzzano Zeffirio, Capo Spartivento (Bova e Melito Porto Salvo) e in gran parte delle località del Basso Ionio-Reggino. La tradizione gastronomica locale è ricca di prodotti realizzati con questo frutto (crema di bergamotto e liquore di bergamotto) e le curiosità legate alla sua storia e al suo utilizzo sono infinite. Con l’essenza di bergamotto calabrese si producono le famose caramelle bergamotes di Nancy, inventate nel 1857 da un confettiere della città lorenese. Sin dal 1830 l’inglese Earl Grey mise in commercio un tè aromatizzato al bergamotto di Calabria, il Twinings Earl Grey Tea, ancora oggi uno dei tè più diffusi e graditi dagli appassionati. Con la buccia vengono realizzate le caratteristiche tabacchiere di Varapodio. Nel 1999 l’olio essenziale di bergamotto di Reggio Calabria ha ottenuto la Dop.
Vino – Greco PassitoNel comune di Bianco e in parte in quello di Casignana, in provincia di Reggio Calabria, si produce una gemma enologica: il passito di Greco di Bianco. Quest’area ha terreni calcarei argillosi, bianchi che danno vini strutturati, alcolici, di forte carattere. Pochissimi lo producono ancora secondo il metodo tradizionale che prevede l’appassimento sulle cannizze. Nel comune di Gerace, benché al di fuori dell’area della Doc Greco di Bianco, esiste una piccola nicchia di produzione di Greco passito. Nel mese di settembre, che in questa parte di Calabria è ancora caldissimo, si pongono i grappoli di greco su intrecci di canne, le cannizze appunto, dove sono lasciati ad appassire da 8 a 15 giorni: il colore e il profumo intenso che si sprigiona dai chicchi segnalano il giusto punto di maturazione. La resa è bassa, da un quintale di uve si ricavano in media 30 litri di vino passito che danno il meglio a 3, 4 anni di invecchiamento. È ottimo bevuto freddo ma anche a temperatura ambiente in accompagnamento a dessert e gelati.
…Il caciocavallo si produce in questa zona da tempi immemorabili. Nella Grecìa calabra, così viene definita l’area ellenofona che fa capo genericamente alla Bovesia, molti nomi di località hanno radici nella Grecia antica: il nome stesso di Ciminà deriva dal greco kyminà, ovvero luogo dove abbonda il cumino selvatico o ciminaia. …A Ciminà…il caciocavallo si fa a due testine, è un formaggio piccolo, allungato, caso unico nel panorama caseario, anche se non è citato espressamente con questo nome su nessuna pubblicazione di settore. Ma si lavora anche nella forma ovoidale classica. Il peso va da 400 grammi a 3 chilogrammi.Questo formaggio ha un’altra particolarità: si coagula ancora il latte crudo, di vacca e a volte anche parzialmente di capra, quasi sempre con caglio naturale di capretto. Una volta rotta con lo spino la cagliata, che i pastori chiamano tuma, si formando coaguli grandi quanto una nocciola che si raccolgono e compattano, facendo fuoriuscire il siero. Questa massa viene lasciata fermentare anche più giorni, secondo l’andamento climatico, e poi tagliata a fette e filata nell’acqua bollente. Infine si passano le forme nella salamoia per un giorno circa e si appendono poi ad asciugare a cavalcioni della tradizionale pertica. Il caciocavallo di Ciminà si consuma di solito fresco, se non freschissimo, entro pochi giorni dalla produzione, destinandolo per lo più alla griglia. Mentre con qualche settimana di stagionatura in più acquista sentori inebrianti e lunghi di sfalcio, di fiori gialli, di nocciola… Il caciocavallo del Presidio si produce tutto l’anno, ma la massima produzione avviene da marzo a giugno. La stagionatura minima è di un mese.
altre informazioni sul caciocavallo
Aziende produttrici
Selezionare il comune per visualizzare le attività di produzioni tipiche:
- Bagaladi
- Bova
- Canolo
- Careri
- Ciminà
- Cittanova
- Condofuri
- Delianuova
- Gambarie
- Gerace
- Mammola
- Platì
- Roccaforte del Greco
- San Giorgio Morgeto
- San Lorenzo
- Sant'Eufemia d'Aspromonte
- Santo Stefano in Aspromonte
Salumi – CapocolloIl Capocollo, di cui in Calabria si produce anche una versione Dop, è un salume fatto con il lombo o con la spalla del suino. Il taglio, del peso di 3, 4 chili, dev’essere contornato da uno strato di grasso che lo mantiene morbido durante la stagionatura. Dopo essere stata disossata, la carne è salata a secco, a giorni alterni, per una settimana, poi bagnata con vino (per il Capocollo a denominazione di origine si usa aceto), massaggiata e pressata. Si aggiungono pepe rosso macinato ed erbe aromatiche (spesso il finocchietto selvatico), si avvolge nel diaframma suino, si lega con spago e canne per stringerlo e si fora il budello per evitare bolle d’aria. All’asciugatura, preceduta da alcuni giorni di affumicatura, segue la stagionatura in locali ben ventilati, a temperatura e umidità costanti. Al taglio il salume ha un colore roseo naturale, con piccole striature di grasso; il sapore, delicato, si evolve con la maturazione.
Formaggi – Ricotta affumicataLa buccia è scura, di colore beige intenso oppure marrone, a volte anche scurissimo, secondo la durata del processo di affumicazione, con interno bianco avorio. La forma è quella di un piccolo cilindro di circa 10, 15 centimetri di altezza per 4, 5 di diametro. Morbida e dal sapore latteo piacevolmente fumé, si fa con siero di latte ovino e a volte anche caprino, portato a una temperatura di 85, 90 gradi per consentire il naturale affioramento delle parti solide. Raccolta nei tradizionali fuscelli, resta a spurgare per una giornata circa. Salata a secco viene poi affumicata per almeno tre giorni, quindi matura per una settimana. Per informazioni sui produttori locali telefonare alla Comunità Montana della Limina (Signor Gino Larosa, tel. 0964 414112).
Formaggi – Caprini della LiminaI caprini prodotti alle pendici del Monte Limina si ottengono da solo latte di capra e hanno un aroma particolare, un sapore forte e piccantino che varia a seconda del periodo di produzione. Per farli si versa in un pentolone il latte, possibilmente appena munto, si aggunge il caglio di capretto sciolto in un pò di acqua e si lascia un’ora circa. Quando è cagliato si mescola con un cucchiaio di legno fino a che non diventa di nuovo liquido. Dopo, pian piano, si raccoglie con le mani il formaggio che si separa dalla lacciata (latte sgrassato), si mette in contenitori di giunco e si stringe fino a quando non è ben scolato. Si toglie dalla forma e si sala in maniera uniforme. Si rimette nella forma per un giorno, poi si toglie e si lascia stagionare in cantina, ungendo la crosta con olio d’oliva per tutta la durata dell’affinamento, che può prolungarsi anche per un anno. Queste tecniche di produzione danno un formaggio di particolare pregio e tipicità, a produzione limitata e molto richiesto dai consumatori, tanto che non si riesce a soddisfare tutta la domanda. Il colore è giallo paglierino chiaro all’esterno, bianco all’interno. La forma, rotonda e del peso di 1 o 2 chili, può essere consumata fresca o stagionata da 8 a 12 mesi. Le capre sono allevate brade e i pastori ancora oggi pagano il fitto dei pascoli in natura, con le forme di formaggio. Continua anche la tradizione di ricavare dalle pelli di capra i sacchi per le zampogne che costruiscono i pastori stessi. Per informazioni sui produttori locali telefonare alla Comunità Montana della Limina (Signor Gino Larosa, tel. 0964 414112).
Formaggi – CanestratoPuò essere prodotto con latte ovino, caprino, vaccino oppure misto. Normalmente ha una forma cilindrica con scalzo di 7, 8 centimetri e diametro di 17, 20; il peso varia da 1 a 2 chili. Quando la stagionatura è adeguata, la crosta ha struttura compatta con colore variabile dal giallo-bruno al grigio intenso e sono ben visibili le striature derivanti dalle caratteristiche fascere di giunco intrecciato utilizzate nella lavorazione. I sentori che questo formaggio può richiamare (rimanendo, in ogni modo, fortemente legati all’alimentazione dell’animale e alla stagionatura) si rifanno a note erbacee, di sottobosco, di fiori e di agrumi; il gusto è delicato, più piccante a maturazione avanzata, di discreta palatabilità e lunghezza. A volte, prima di produrre il canestrato, parte della cagliata è trasformata in juncata, altro tradizionale formaggio calabrese.
Dolci – Il TorroneIn Calabria si producono sia torroni friabili sia torroni morbidi (tra cui il cumpittu, ricoperto da un fitto strato di semi di sesamo detti, con termine di derivazione araba, giuggiulena). Per la produzione di questi dolciumi è nota in particolare Bagnara Calabra, centro della costa tirrenica dove fin dai primi anni dell’Ottocento sorsero torronifici che acquistavano il miele sulle montagne dell’Aspromonte. Anche nei paesi dell’interno si è mantenuta una tradizione artigiana attenta soprattutto al lungo e delicato procedimento di cottura del miele. Gli altri ingredienti del torrone sono le mandorle, lo zucchero, l’albume d’uovo e la vanillina. La copertura è di ostia, oppure di zucchero glassato o di cioccolato bianco o nero. Oltre alle classiche stecche (poglie in dialetto) nelle pasticcerie si trovano anche torroncini morbidi o croccanti variamente aromatizzati e il torrone gelato, fatto con mandorle e agrumi canditi.
Olio – Cultivar Carolea, Grossa di Gerace & C.
La presenza di pendici coltivate a olivo, ma anche di resti di numerosi frantoi lungo i corsi d’acqua, testimonia una vocazione antica, comune al territorio calabrese nella sua interezza. Forte dell’influsso marino (avvertibile anche nelle aree lontane dalla costa), la regione possiede una buona estensione olivicola che ne fa il secondo serbatoio nazionale dopo la Puglia. Raramente, però, questo gran patrimonio è trasformato in olio di qualità. Il più delle volte le aziende praticano un’olivicoltura quasi anacronistica: soprattutto nelle zone più interne persistono ricettacoli di coltura rudimentale mentre, lungo la fascia costiera, un’idea di produzione più votata alla qualità, forte di tecniche lavorative che non rinunciano al progresso tecnologico, comincia a radicarsi nel pensiero (e nei prodotti) di alcuni validi olivicoltori. La lunga lista delle cultivar – autoctone e alloctone – che ben si sono adattate alle condizioni pedoclimatiche calabresi comprende Coratina, Frantoio, Leccino, la Nocellara del Belice e quella Messinese, Carolea, Cassanese, Dolce di Rossano, Roggianella, Grossa di Gerace, Ottobratica e Sinopolese. Da un così eterogeneo gruppo di varietà è chiaro che non possono nascere che oli extravergine dalle caratteristiche organolettiche varie, ora contraddistinti da un intenso profumo fruttato e vegetale, ora rimarcanti piacevoli note gustative di mandorla o nocciola.
Pesce – StoccoLo stoccafisso, “pesce che arriva dove il mare non c’è”, è sempre stato popolare nelle zone interne della Calabria. In passato golette e brigantini provenienti dal Nord Europa attraccavano al porto di Pizzo, sbarcando le balle di “pesce bastone” che, lungo la strada delle Serre, risalivano verso l’Aspromonte. Nella zona di Mammola la disponibilità di acqua ricca di calcio, magnesio e ferro, quindi particolarmente adatta ad ammollare lo stocco, favorì la nascita di una fiorente attività di lavorazione del pesce essiccato. Ancora oggi qui ci sono aziende che acquistano, tramite grossisti, stoccafisso importato dalla Norvegia, lo “spugnano” e lo rivendono pronto per essere cucinato in tanti modi: fritto, al forno, in umido, con patate o peperoni, in insalata con peperoncino, aglio e prezzemolo. Assaggi di questi e altri piatti sono distribuiti il 9 agosto nelle stradine del borgo antico di Mammola, in occasione della Sagra dello stocco. Formaggio caprino della Limina.Ricotta affumicata di Mammola. Nel dibattito, sono intervenuti alcuni convegnisti. Lo stesso presidente del Paleaghenea, l’avvocato Mario Maesano, ex vicesindaco di Roghudi, animatore di tante iniziative di sapore socio-culturale, ha detto una cosa molto importante.”La comunicazione è sana; il turismo va bene; lo sviluppo del territorio mi convince, ma senza strade, non si va da nessuna parte.” In altri termini per uscire fuori dal tunnel dell’isolamento e dell’anonimato occorre intanto realizzare la rete stradale. Maria Carmela Palumbo scrittrice e saggista, ce l’ha con gli !Attila” delle nostre contrade che procedono da anni allo scempio sistematico e metodico della natura, del paesaggio, dello scenario. Poi è stata la volta degl’interventi sulla lingua grecanica. Ha cominciato il ragioniere Stelitano che ha parlato per diversi minuti. A cui ha fatto seguito l’intervento di altri “elleno foni” che hanno parlato con la lingua di Omero, riscuotendo scroscianti applausi dall’uditorio. Le socie, sono state omaggiate in occasione anche della festa della donna di eleganti confezioni alla mimosa. Insomma si è mischiato un po’ di tutto, ma bisogna dare atto all’Associazione Paleaghenea per tutte le numerose interessanti iniziative promosse nell’arco del suo cammino socio-culturale. Domenico Salvatore
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