Sono stupito e spaventato della grande ondata di critiche che si è abbattuta su Matteo Renzi. Ha cominciato Eugenio Scalfari che qualche settimana fa aveva scritto una sorta di endorsement in favore del nuovo segretario del PD, subito corretto con un irritato articolo di condanna che ricordava la polemica contro il peggior Berlusconi. Al momento della investitura di Napolitano, Scalfari sembrava essersi arreso di fronte alla necessità, per ricadere poi in un giudizio che assomigliava più ad un pregiudizio, che non ad un ragionamento.
Alcune critiche sono giustificate, altre sono inevitabili, ma il tono acceso ed il disprezzo non si capiscono. Le critiche sia di sinistra, sia da destra sono, con una certa incoerenza rivolte a dati di costume: la giovinezza, la sfacciataggine, l’inesperienza, l’accento fiorentino (la favella toscana, ch'è sí sciocca nel manzonismo de gli stenterelli ), le mani in tasca, l’i-pad, la fretta, la velocità, i sogni.
Ma come è possibile? Non erano queste le qualità della giovane generazione? Non era quello che sapeva parlare al cuore delle persone del suo partito? Non era il documentatissimo studioso dei fenomeni sociali e politici della Leopolda?
L’accusa più pesante? Renzi sarebbe antidemocratico. Un carattere autoreferenziale potrebbe anche averlo, ma ricordiamoci che solo un anno fa ha perduto delle elezioni primarie, ha fatto doverosamente un passo indietro (e perfino uno dei discorsi politici più belli degli ultimi trenta anni),e si è rimesso a fare il Sindaco come doveva. Infine l’accusa più devastante e fratricida: quella di essere un piccolo Berlusconi che per un’incoercibile simpatia si è alleato con Berlusconi.
Ma il precedente governo non era basato su un accordo con Berlusconi, voluto e certificato da Napolitano? Ma la speranza ambiziosa di una nuova legge elettorale non auspicava un accordo anche con le opposizioni per realizzarsi? Perché quello che sembrava necessario dieci mesi fa è oggi diventata una nefandezza morale?
Fra i tanti rimproveri il più giustificato sembra essere quello di aver pugnalato Letta. Credo che tutti siamo rimasti un po’ colpiti da quella serie drammatica di eventi: l’annuncio della riunione della direzione del PD, il colloquio con Napolitano, l’approvazione della svolta a grande maggioranza del PD, l’investitura di Napolitano, la più rapida conclusione della formazione di governo e della fiducia, che la storia repubblicana ricordi. È stato tutto facile, fatale, veloce, da sembrare persino brutale.
(Io stesso ho narrato, di aver scritto un articolo sulle ragioni per le quali Renzi non avrebbe fatto cadere il governo Letta e di averlo dovuto buttare, superato dagli eventi!)
Noi tutti ci siamo chiesti se questa fretta era nel carattere di Renzi o nel giudizio di Napolitano, o semplicemente nelle cose. Non c’è dubbio che il passaggio era prevedibile, e forse necessario, dopo l’accordo con Berlusconi sulla legge elettorale. Era la stessa legge elettorale che il Ministro Quagliarello rimaneggiava da mesi dichiarando apertamente che non aveva nessuna intenzione di portarla a termine, che si imponeva per necessità. Forse non è azzardato dire che è stato il mancato zelo a fare la legge elettorale che in realtà ha pugnalato Letta.
Infine, più stupefacente di tutte, la opposizione della minoranza del PD. Civati ondeggia fra voto di fiducia e scissione. Fassina annuncia il comportamento tipico dei partecipanti al gioco “Affari tuoi”, quello di andare “pacco per pacco”, né più né meno di quello che annuncia la Lega. L’incontro fra Bersani e Letta che doverosamente si recano a votare, che sarebbe stato un’icona della disciplina repubblicana, diventa un simbolo della libertà conculcata, a causa di disgraziate, insopportabili, maledette e fascistissime primarie.
A questo punto succede in tutti qualcosa di straordinario. Scalfari scrive: “Speriamo che Renzi ce la faccia, per il bene dell’Italia”; Bersani dice con generosità: “Aiutiamolo, ne ha bisogno!”; tutti gli oppositori dicono: “E’ l’ultima risorsa. Dopo di lui c’è Grillo!”. Ma come è possibile? Se questo è vero ed io credo che lo sia, come mai c’è un’ondata così foriera di sciagure, che trova Renzi insopportabile?
Ieri si è tenuta a Roma, al solito ed indispensabile Istituto Sturzo, una riunione affollata e commossa a causa degli avvenimenti che ho cercato di descrivere . Il tema sembra letterario, filologico, archeologico eppure è un tema scottante: quello riassunto dalla famosa questione centro-sinistra o centro sinistra (senza trattino).
Ricorderò per i disattenti che, nella gestazione dell’Ulivo, ci furono due correnti di pensiero, di per sé non molto distanti, ma per forza di cose distanti negli obiettivi futuri. La questione era se il centro sinistra fosse una nuova formazione politica o se invece fosse un’alleanza fra due gruppi, due identità che si alleavano su un programma politico di attualità, rimanendo divise. Appunto: il centro-sinistra (col trattino).
Follini nell’esporre il problema ricorda una definizione del centro che fu di Cossiga: “Distinto dalla sinistra e distante dalla destra”. Nello stesso tempo ricorda la difficoltà del centro di collaborare con una sinistra assediata da quello che Lenin chiamava “la malattia infantile dell’estremismo”. L’Italia, paese antico, conservatore per necessità storica, paralizzato dalle pur tuttavia splendide sedimentazioni delle sue troppe culture, si muove solo con il connubio (come lo chiamò Cavour) del centro avveduto e riformatore con la sinistra colloquiante e progressiva.
Fu l’arma di Cavour, fu la soluzione post-risorgimentale di De Pretis, fu il tentativo riformista di Giolitti (a cui non mancò il soccorso dei redivivi cattolici), fu il Centro-sinistra, la grande operazione politica della prima Repubblica, condotta in porto da Rumor, fu il grande tentativo di Moro che Rodano aveva chiamato con fantasia “compromesso storico”. Tutti i periodi di crescita e di avanzamento sono nati con questo metodo. Tutte le catastrofi italiane sono nate dal fallimento di questo metodo.
Il fallimento è sempre provocato dalla natura “padrona” di una destra con la mentalità degli eserciti d’occupazione stranieri che per secoli governarono l’Italia, che può vincere solo per il terrore causato da un sinistra terrorista.
Quando centro riformista e sinistra di governo non trovano l’accordo, emergono i Crispi, con la catastrofe di Adua, i nazionalisti con la guerra di Tripoli, i fascisti con la loro violenza paramilitare. Il processo di sviluppo italiano promosso dal Centrosinistra fu interrotto con l’assassinio di Moro, a cui seguì una lunga malattia incurata ed incurabile, a cui non bastò la rivoluzione del 1992. Al fallimento del centro-sinistra che si chiamò Ulivo, succedettero Berlusconi e la sua catastrofe economica. La storia ama ripetersi.
A Renzi si chiede una “mission impossible”: fare un sinistra-centro in un periodo in cui non esiste più il centro, per il cedimento dei cattolici sedotti dalla destra. Ciononostante Renzi ce la deve fare, con i suoi meriti e con i suoi difetti.
Bartolo Ciccardini
Giornalista, Direttore Editoriale e Fondatore di MNews.IT
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