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L'Occidente e l'Oriente delle lingue in un Mediterraneo diffuso - Pierfranco Bruni

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L'Occidente e l'Oriente delle lingue in un Mediterraneo diffuso

Pierfranco Bruni



 L'Europa non può che essere sempre più considerata, non soltanto in termini di geografia politica ma soprattutto sul piano dei processi geo - culturali, come l'asse cerniera tra i Paesi del Mediterraneo del Medio Oriente e i Paesi che si intagliano nell'Oceano. Il Mediterraneo congiunge, separa, riunisce storia, cultura, lingue, civiltà. Modelli di diversità che hanno subito e si sono formati attraverso dei processi storici. Il Mediterraneo di Omero è già di per sé una dimensione della diversità della cultura che ha dominato una visione identitaria delle Nazioni in uno spaccato della storia d'Europa dei popoli.
      Il Mediterraneo come valore sancisce il suo riferimento nella tradizione laica omerica e nella tradizione cristiana biblica diventa sempre più un raccordo attraverso le diversità culturali che si rappresentano come espressioni di modelli etici, religiosi, etnici, linguistiche. La lingua è una delle componenti fondamentali che vive all'interno della diversità delle culture. La diversità soprattutto in questa nostra temperie è libertà. Non si può imporre la "percezione della cultura" (Kostas Gasparinatos). Diventerebbe un pericolo, un rischio, una inevitabile incomprensione. Ma non si può neppure dettare la necessità di una libera interazione tra culture nazionali e culture cosiddette "altre" in una Europa dove le diversità occupano lo scenario della vita quotidiana.
      La lingua costituisce, ovvero le lingue costituiscono "anime senza confini e senza delimitazioni, sono riflessi dell'infinito" ha scritto in recente saggio Claude Hagége. E poi aggiunge: "Le lingue non consentono solo di parlare o di scrivere per rappresentare, ben oltre la nostra scomparsa fisica, la nostra storia, ma la contengono. Tutti i filologi, o tutte le persone che nutrono curiosità per le lingue, sanno che in esse si depositano tesori che raccontano l'evoluzione della società e le avventure degli individui. Le espressioni idiomatiche, le parole composte hanno un passato che mette in scena personaggi viventi. La storia delle parole riflette quella delle idee. Se le società non muoiono non è solo grazie agli storici e ai narratori ufficiali, ma anche grazie al fatto che possiedono delle lingue, e dalle lingue sono narrate".
      La diversità linguistica è una ricchezza perché si apre a ventaglio una concezione che ci permette di organizzare una visione del mondo eterogenea. Oggi ci sono circa 5000 lingue in tutto il mondo. Di queste 600 vengono parlate da più di centomila parlanti, 500 sono frequentate da meno  di cento persone. Il novanta per cento delle lingue del mondo viene parlato da circa il cinque per cento di tutta la popolazione del pianeta. Il 32 per cento delle lingue parlate si trovano in Asia, il 30 per cento in Africa, il 19 per cento nelle isole del Pacifico, il 15 per cento nelle Americhe e il 3 per cento in Europa.
      La lingua, dunque, è una componente della diversità soprattutto in una Europa che non si allontana dalla sua reale storia mediterranea. I popoli si incontrano in un tempo che raccoglie le civiltà. E questo tempo non fa altro che restituirci memorie. Memorie che hanno ricostruito fatti in un raccordo con il quotidiano, con la realtà, con la vita stessa dei popoli. Le memorie che ci catturano oggi, pensando a quelle identità che si sono incrociate tra il mare e il deserto nel grande mistero che recita il Mediterraneo, sono destini che provengono da un radicamento che ha posto al centro l'uomo.
      Quello che è accaduto negli Stati Uniti d'America, quello che accade oltre il Mediterraneo e nel suo proprio interno, nasce da una incomprensione che la si può leggere sotto diversi aspetti. Qui c'è la diversità di una cultura che insiste che si fa chiaramente separazione o non separazione. Il punto centrale resta nella indefinibile coscientizzazione di un progetto identitario. L'Occidente e l'Oriente nell'Europa stessa non sono mondi separati l'uno dall'altro o l'uno nell'altro. In molte visioni della vita coincidono. Si integrano perché hanno in comune una dimensione geografica che è il Mediterraneo e che diventa dimensione spirituale dell'essere. C'è un valore trascendentale sul quale avvengono gli scontri che sono conflitti religiosi.
      I popoli vivono la loro durata su tre dimensioni. Quella spirituale (che è quella religiosa). Quella etica. Quella storica. Il senso di una appartenenza si definisce nel sentire di una civiltà. Che non è un sentire astratto ma si base su modelli culturali che si trasformano in modelli di comportamento. Gli usi e i costumi di un popolo, e quindi di una civiltà, la ritualità stessa sono comportamenti derivati da forme di appartenenza ad una radice storico - culturale.
      L'Occidente e l'Oriente in Europa si scontrano su una visione che non è solo culturale tout court ma antropologica, filosofica. Anche il senso del divino assume valenze antropologiche perché la vera separazione dei due mondi si esterna nella rottura dei riti. La concezione della donna, per esempio, è una concezione centrale sia nella cultura occidentale che in quella orientale. Ma muta la funzione che si dà al ruolo della donna. Quindi il problema assume una spaccatura proprio sul piano antropologico perché su alcune linee il cui sentiero è tracciato sul valore della tradizione ci sono delle divaricazioni di fondo. L'Europa, in fondo, vive una contraddizione di Patrie. E la cerniera Mediterraneo gioca una partita il cui coinvolgimento sta alla base di una civiltà che ha radicamenti storici ben precisi.
      La separazione religiosa e antropologica tra le due realtà storiche e culturali esisterà sempre e in questa separazione coesisteranno anche i raccordi, le vicinanze, gli sguardi che ci portano ad una nostalgia tra popoli. Il fatto che in questo momento diventa necessario è quello di allontanarci da qualsiasi strategia omologante sia per ciò che riguarda il mondo occidentale che quello orientale. Ma parlare di Oriente in Europa non significa solo parlare di Islam o di Paesi Arabi. L'Oriente è un crogiolo di civiltà che si tendono le mani e si allontanano.
      La cultura della Cina, per esempio, è abbastanza distante, e le "forme" di questa lontananza le mostra tutte, è una cultura completamente diversa da quella espressa (o di quella che si può leggere nei percorsi simbolici e nei linguaggi religiosi) in una identità arabo - sicula - mediterranea. Eppure quell'Oriente presenta in Europa è una diversità non solo rispetto alla tradizione occidentale ma anche rispetto a quel Mediterraneo omerico nel quale la cultura e la storia bizantina si sono caratterizzati.  C'è, comunque, una storia di rapporti tra Occidente e Oriente in Europa che esula da modelli che le civiltà contemporanee hanno offerto. C'è stato un conflitto all'interno di quel mondo turco - musulmano che ha interessato vasti bacini dei Paesi dell'Asia, dell'Africa e anche dell'Europa non solo Adriatica.
      I Paesi Balcani hanno vissuto un conflitto che è stato di natura spirituale e che ha trovato proprio in Europa e in Italia il suo più importante risvolto. Un esempio perché interessa in modo particolare l'Italia meridionale, quell'Italia che è dentro, appunto, il Mediterraneo. La guerra tra gli Albanesi e i Turchi nella temperie del 1400 racconta uno scontro di civiltà ma anche una precisa scelta. Gli Albanesi, proprio alla fine del 1400, hanno rappresentato un baluardo della cristianità. La difesa della cristianità contro i Turchi e contro l'islamizzazione dei Paesi che ruotavano intorno all'Albania. Uno scontro etico e storico tra musulmani e cristiani.
      L'Albania cristiana si è rivolta proprio all'Italia in quel frangente particolare ed ha trovato qui nel Mediterraneo d'Italia un raccordo di civiltà. Credo, comunque, che il discorso sia diverso rispetto a ciò che accade in questi anni. Vi era la difesa in nome di Cristo. E Skanderbeg era diventato il protettore della cristianità di quei Paesi. Questo è un piccolo spaccato di una realtà storica che va compresa fino in fondo. Ma quella storia ha dato vita ad una cultura della diversità nel contesto italiano, la cui diversità è ricchezza tuttora.
      Il fatto più drammatico è che non abbiamo una conoscenza vera di quelle identità e di quei radicamenti che sono entrati nella cultura occidentale e tutto ci sembra estraneo. Questo sentire estraneo l'altro che abbiamo in casa ce lo fa sentire anche nemico. Qui non si tratta più di una guerra guerreggiata con strumenti offensivi o difensivi. Si tratta piuttosto di attrezzarci non solo su un piano assistenziale ma su un piano che è quello culturale e filosofico.




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Luigi Palamara
Giornalista, Direttore Editoriale e Fondatore di MNews.IT
Cell.: +39 338 10 30 287
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